Le 55 più belle frasi d'amore, matrimonio e San Valentino

Ecco un po' d'ispirazione per raccontare al tuo amore come ti senti veramente.

Ecco la cosa più bella dell'amore: è difficile esprimerlo a parole, ma queste 55 citazioni, poesie e frasi d'amore rendono molto più facile dire ciò che si prova veramente al proprio partner.

L'amore suscita emozioni che vanno dall'agonia all'estasi. Ci può ispirare a compiere alcune delle imprese più folli e più sorprendenti.

L'amore può renderti più felice di quanto tu sia mai stato, più triste di quanto tu sia mai stato, più arrabbiato di quanto tu sia mai stato. Si può elogiare e sgonfiare quasi allo stesso tempo.

Mentre tutti noi possiamo praticamente riconoscere le emozioni associate all'amore, trovare le parole per spiegare quei sentimenti è un ordine piuttosto difficile.

La gente ha cercato per secoli di trovare il modo giusto per dire "ti amo" e cercare di spiegare quelle farfalle nello stomaco, quella calda sensazione di sfocata nella pancia e quel cuore che salta un battito.

Una cosa che sappiamo è che se hai amato e vinto - o amato e perso, ne è valsa SEMPRE la pena.

Mentre ci sono un sacco di modi non verbali per esprimere il tuo amore, trovare quella perfetta citazione d'amore o meme che riassume esattamente quello che stai sentendo può essere abbastanza sorprendente.

Per fortuna, alcuni dei più grandi artisti del mondo, poeti, musicisti e romantici senza speranza (come noi) sono riusciti ad articolare la magia dell'amore utilizzando parole così semplici e perfette, condividerle può significare il mondo.

Ecco le 55 migliori citazioni e frasi d'amore che potete trovare online, perfetti per condividere con quella persona speciale. Non avremmo potuto mettere queste frasi di ispirazione meglio di noi stessi.

Amore & San Valentino

Ti adoro: pensi possa bastare?!


Ti amo così tanto che non riesco a pensare ad altro che a te: tu colmi la mia vita di qualcosa che non conoscevo.


Insieme è bellissimo.


Vorrei essere una lacrima per nascere nei tuoi occhi , vivere sulle tue guance e morire sulle tue labbra.


Ti amo perché sei tu.


Un fiore per il fiore più bello.


Ti amo. Ecco, ho trovato il coraggio per dirtelo. Ti penso. Non riesco a non farlo. Mi nutro di te nei miei sogni. Ma anche il mio sogno più bello non è bello come te. Più di ieri e meno di domani. Ti amo immensamente.


Il fatto più straordinario della mia esistenza, è di avere conosciuto te.


Siamo angeli con un'ala sola. Per volare dobbiamo restare abbracciati.


La donna a cui cerchi di assomigliare non esiste, ma tu esisti e sei bellissima.


Una goccia del profumo basta a riempire la mia stanza. Un po' del tuo amore basta a colmare la mia vita.


Stavo percorrendo il rettilineo della mia vita, la tua bellezza e la tua femminilità mi ha fatto sbandare.


Tu splendida emozione,
tu splendida realtà
tu splendida certezza.


Il sole è la vita della terra, l’amore è la vita dell’uomo e tu, cara, sei la mia vita perché io t’amo.


L'amore risolve tutti i problemi: con te non posso preoccuparmi del buio, perché sei luce; non temo il freddo perché sei fuoco; non mi perdo nel dubbio, perché sei verità.


Il mio amore per te è come l'universo: non avrà mai fine.


La prima volta che ti ho vista mi sei sembrata una dea. Ora ti vedo come la donna della mia vita. Vuoi essere la mia dea?


Ora parliamo di te. Mi ami?


Solo da quando amo la vita è bella; solo da quando amo so di vivere.


L’amore risolve tutti i problemi: con te non posso preoccuparmi del buio, perché sei luce; non temo il freddo perché sei fuoco; non mi perdo nel dubbio, perché sei verità.


L’amore non è pretendere, ma dare; è dimenticarsi, ma non dimenticare; è vivere fuori di sè, pur rimanendo in sè; è riservarsi le spine e offrire le rose.


Sei una bomba: vorrei fuggire con te, per esplodere insieme.


Sei bellissima, è evidente. Sei simpatica, lo sanno tutti. Sei intelligente, non è una scoperta. Sei dolce, io lo so bene. Sei la donna della mia vita. Lo sapevi questo?


Vuoi sapere quanto è grande il mio amore? Conta le onde del mare.


La felicità è nascosta dappertutto: basta scovarla.
E io ho scovato te, che sei la mia felicità.


Rosso e blu, nel mio cuore ci sei solo tu.


Quando il sole sorgerà il mio amore crescerà, quando la luna spunterà il mio amore resterà.


Ti penso ovunque, ti penso ogni secondo e ti amerei anche se cadesse il mondo.


Vorrei essere una lacrima per nascere dai tuoi occhi, scorrere sul tuo viso, morire sul tuo petto.


80 voglia di te, 70 ne hai di me, 16 di amarmi, 6 proprio un tesoro, 15 ameremo per tutta la vita.


Non chiedere alle foglie di non muoversi, non possono c'è il vento. Non chiedere al sole di splendere due volte, non può c'è la luna. Non chiedermi di dimenticarti, non posso Ti Amo.


La musica più non sento, di te solo mi accontento.


Ti regalo un sorriso ti terrà compagnia, e se avrai paura, ti darà coraggio, perché un sorriso è come un raggio di sole al mattino: illumina la strada e riscalda il cuore...


Credevo che gli angeli non esistessero.... e invece mi sbagliavo.... non solo si trovano in cielo ma anche sulla terra!!!!
Grazie di starmi accanto amore!!!!


Se potessi rifare il mondo, metterei il tuo sorriso al posto del cielo, i tuoi occhi al posto del sole e la tua voce al posto del vento...


Sei la cosa più speciale della mia vita.


Se vuoi sapere di me, devo dirti che sono un solo un povero mercante di stelle, posso venderle tutte ma non la più bella, che splende nel mio cuore per amore.


L'amore risolve tutti i problemi: con te non posso preoccuparmi del buio, perché sei luce; non temo il freddo perchè sei fuoco; non mi perdo nel dubbio, perché sei verità. Grazie.

Ispirazioni famose...

"Ben poco ama colui che ancora può esprimere, a parole, quanto ami". (Dante)


Potessimo almeno fotocopiare questa notte d'amore... (Maria Luisa Spaziani)


"Quando ami, scopri in te una tale ricchezza, tanta dolcezza, affetto, da non credere nemmeno di saper tanto amare".
(Cechov)


"L’amore vero, è il cammino in due verso la luce di un ideale comune".
(J. D’Ormoni)


"Tanti fiumi sgorgheranno dal mare e l'anno invertirà il corso delle sue stagioni prima che il mio cuore muti il mio amore per te: sii come desideri, ma non diventarmi estranea". (Properzio)


"Quando si ama non vi è nulla di meglio che dare sempre tutto, la propria vita, il proprio pensiero, il proprio corpo, tutto quel che si possiede; sentire quel che si dà; mettere tutto in gioco e poter dare sempre di più". (G. de Maupassant)


L'amore non è pretendere, ma dare;
è dimenticarsi, ma non dimenticare;
è vivere fuori di sè, pur rimanendo in sè;
è riservarsi le spine e offrire le rose.
"L'amore chiede tutto, ed ha il diritto di farlo"
(L. V. Beethoven)


"Subito a me il cuore si agita nel petto solo che appena ti veda, e la voce non esce, e la lingua si spezza. Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, e gli occhi più non vedono e rombano le orecchie".
(Saffo)

Lettere d'amore per un matrimonio

Quando entrerò
Nella mia casa
Non ci sarà
Posto
Per l'armadio
Non ci sarà
Posto
Per il letto
Non ci sarà
Posto
Per le sedie e il tavolo
Ma per te
amor mio
ci sarà tutto lo spazio
che non occuperò
(Donato Zoffoli)


Il più bello dei mari
È quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
Non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
Non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
Che vorrei dirti di più bello
Non te l'ho ancora detto.
(Nazim Hikmet)


AMORE
Questa mattina, e come li portavo
Alla finestra, ebbi sorpresa lieta.
Si scambiavano in becco il cibo, oggetto,
ieri ancora, di tanta lite.
E' il modo -il loro- di baciarsi e dirsi grati l'un all'altro di esistere.
E' già nido.
(Umberto Saba)


Ti amo (nome futura sposa).
Ti amo quando ho bisogno di te,
quando ti sfioro e mi sento a casa,
quando ti cerco e tu se lì, vicina a me,
quando fuori è già sera, ma non per noi,
quando parto e ti porto dentro di me,
quando torno e muoio nel tuo abbraccio.
Sono felice (nome futura sposa).
Sono felice perché tra poco sarai mia sposa,
perché il nostro amore sarà la nostra casa,
perché la nostra vita saranno i nostri figli,
perché il nostro futuro sarà la nostra vecchiaia, insieme.
Ti amo, (nome futura sposa), perché sei tu.
Solo tu.
Per sempre.

Poesie d'amore

Il tuo sorriso
di Pablo Neruda

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.

Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.

Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

Quest'Amore
di Jaques Prévert

Questo amore
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore cosí bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l'abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E' tuo
E' mio
E' stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l'estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l'ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.

I ragazzi che si amano
di Jaques Prévert

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore

L'arancia
di Jaques Prévert

Un' arancia sulla tavola
il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto tu
Dolce presente del presente
Freschezza della notte
Calore della mia vita.

Ti Adoro
di Charles Baudelaire

T'adoro al pari della volta notturna, o vaso di tristezza, o grande taciturna! E tanto più t'amo quanto più mi fuggi, o bella, e sembri, ornamento delle mie notti, ironicamente accumulare la distanza che separa le mie braccia dalle azzurrità infinite.
Mi porto all'attacco, m'arrampico all'assalto come fa una fila di vermi presso un cadavere e amo, fiera implacabile e cruda, sino la freddezza che ti fa più bella ai miei occhi.

Mi hai fatto senza fine
di Tagore

Mi hai fatto senza fine
questa è la tua volontà.
Questo fragile vaso
continuamente tu vuoti
continuamente lo riempi
di vita sempre nuova.

Questo piccolo flauto di canna
hai portato per valli e colline
attraverso esso hai soffiato
melodie eternamente nuove.

Quando mi sfiorano le tue mani immortali
questo piccolo cuore si perde
in una gioia senza confini
e canta melodie ineffabili.
Su queste piccole mani
scendono i tuoi doni infiniti.
Passano le età, e tu continui a versare,
e ancora c'è spazio da riempire.

Io desidero soltanto te
di Tagore

Io desidero te, soltanto te
il mio cuore lo ripeta senza fine.
Sono falsi e vuoti i desideri
che continuamente mi distolgono da te.

Come la notte nell'oscurità
cela il desiderio della luce,
così nella profondità
della mia incoscienza risuona questo grido:
"Io desidero te, soltanto te".

Come la tempesta cerca fine
nella pace, anche se lotta
contro la pace con tutta la sua furia,
così la mia ribellione
lotta contro il tuo amore eppure grida:
"Io desidero te, soltanto te".

Per scherzo
di Hermann Hesse

Le mie poesie stanno
davanti alla tua porta,
bussano e si inchinano:
mi apri?

Le mie poesie hanno
Un suono di seta
Come il fruscio del tuo vestito
Sulle scalinate.

Le mie poesie
Portano un dolce profumo
Come nell'aiuola tua preferita
Il giacinto.

Le mie poesie son vestite
Di un rosso cupo,
che come il tuo vestito di seta
fruscia ed arde.

Le mie più belle poesie
Assomigliano del tutto a te.
Stanno davanti alla porta e s'inchinano:
mi apri?

Sei tanto bella
di Hermann Hesse

Il sogno più bello - facendoti innanzi
Da notti dorate, anello in quiete serena,
il fatale velo della destra -
sei tanto bella!

Il mio sguardo si stupisce, si inchina,
il mio cuore chiude tutti i suoi cancelli,
per meditare di nascosto sul miracolo -
sei tanto bella!

La bella
di Hermann Hesse

Come un bimbo a cui si regala un giocattolo,
lo controlla, l'accarezza e poi lo rompe,
e già all'indomani al donatore non ci pensa più,
così tieni giocando nella tua piccola mano
il mio cuore, che ti diedi, come un gingillo,
e come trema e come soffre, tu però non vedi.

Le migliori frasi dei film di Woody Allen

Il primo monologo registrato di Woody Allen

Tit. orig.: "Woody Allen's First Recorded Monologue".
Registrato dal vivo presso il Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e quindi inciso con il titolo "Private Life" su Woody Allen e su entrambe le raccolte.

Dall'ultima volta che ci siamo sentiti ci sono stati, nella mia vita privata, molti mutamenti significativi, di cui stasera possiamo parlare per, come dire, valutarli. Ho cambiato casa. Comincio dall'inizio. Prima abitavo nell'East Side, a Manhattan, ma venivo continuamente rapinato, aggredito e sadicamente picchiato nelle gengive. Allora mi sono trasferito in un palazzo di Park Avenue, uno di quei palazzi col portiere in livrea, sorvegliatissimo, costosissimo e magnifico. Ci abitavo da due settimane quando sono stato aggredito dal portiere.
Non so cos'altro c'è di nuovo... Ah sì! Dall'ultima volta che ci siamo sentiti sono diventato una Società in Accomandita. L'anno scorso, ebbi difficoltà col fisico. Volevo dedurre dal reddito imponibile la spesa per lo psicanalista, in quanto "cure mediche", ma all'Ufficio Imposte Dirette mi dissero che rientrava sotto la voce "divertimenti". Si arrivò a un compromesso, rubricandola come "contributi religiosi".
Quest'anno dunque ho fondato una società. Io ne sono il presidente, mia madre ha la vice-presidenza, mio padre ne è il segretario perpetuo, mia nonna il tesoriere. Mio zio è nel Consiglio d'Amministrazione. Si sono coalizzati e hanno cercato di dimissionarmi. Io ho stretto un'alleanza di interessi con lo zio e abbiamo mandato mia nonna in galera.
Mi sono iscritto all'università, per laurearmi in filosofia. Frequentavo corsi di filosofia teoretica, come "Verità e Bellezza" e "Introduzione a Dio", nonché "Propedeutica alla Morte". Fui espulso, alla fine del primo anno, perché sorpreso a copiare all'esame scritto di metafisica. Sbirciavo dentro l'anima del mio compagno di banco.
In seguito alla mia espulsione, mia madre - donna molto sensibile - si chiuse in bagno e si fece un'overdose di pedine della dama.
Sono stato in analisi. Questo lo saprete già, sul mio conto. Da giovane, andavo in terapia di gruppo poiché non potevo permettermi una psicanalisi individuale. Fra noialtri nevrotici si disputava un campionato di baseball. Io ero il capitano della squadra dei Paranoici Latenti. Le partite si svolgevano la domenica mattina. Memorabile l'incontro fra Rosicchiatori di Unghie e Piscialletto. Vedere dei nevrotici giocare a baseball è uno spasso. Io, se commettevo un fallo, ero oppresso da sensi di colpa.
Inoltre, ho un cugino al quale i miei genitori volevano più bene che a me, da piccoli. E questo mi ha distrutto. Laureatosi a pieni voti, mio cugino si mise a fare l'assicuratore.
Si è sposato con una ragazza molto magra e sono andati ad abitare nei sobborghi, dove hanno ogni sorta di status symbols: casa di loro proprietà, automobile, pelliccia di visone, assicurazione contro il furto e l'incendio, assicurazione sulla vita. La moglie ha anche un'assicurazione sull'orgasmo. Se il marito non riesce a soddisfarla sessualmente, la polizza prevede un indennizzo mensile in denaro.
Non so cos'altro dirvi sul mio conto. Ho fatto lo scrittore e l'attore. Scrivevo per la televisione. Per diventare attore frequentai una scuola di recitazione. Come saggio finale demmo Gedeone di Paddy Chayefsky. In Gedeone io facevo la parte di Dio. Mi immedesimai tanto nella parte - secondo i canoni di quella scuola - che la vivevo anche fuori scena. Ero divino. Veramente favoloso. Andavo in giro in doppiopetto blu. Mi spostavo in tassì da un capo all'altro di New York. Davo mance da padreterno, come avrebbe fatto Lui. Una volta litigai con un tale, e lo perdonai. Sul serio. Mi aveva pestato un piede e io gli dissi: "Cresci e moltiplicati!'' Ma non mi espressi esattamente così.

"Coney Island" di Woody Allen

Tit. orig.: "Coney Island".
Registrato dal vivo presso lo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile del 1965, e successivamente inciso con il titolo "Unhappy Childhood" su Woody Allen, Volume 2. Entrambe le raccolte contengono la versione riveduta.

Evado sempre nel regno della fantasia, io, poiché ebbi un'infanzia infelice. Vengo da una famiglia poverissima. Mio padre lavorava a Coney Island, la spiaggia popolare di New York. Aveva in concessione un baracchino, tipo tre-palle-un-soldo, dove uno doveva buttar giù le bottiglie di latte, vuote, con palle da tennis, cosa che io non riuscii mai a fare, durante l'intera infanzia. Ci fu una specie di maremoto, a Coney Island, quando ero ragazzo. Sbaraccò tutto, portò via il pontile, il lunapark, le case e tutto quanto - fece danni per un milione di dollari e passa. L'unica cosa che rimase in piedi furono quelle bottiglie di latte...
Fui spaventato a morte, in effetti, se ci ripenso, una volta da ragazzo. Avrò avuto tredici anni e stavo andando a un concorso per musicisti dilettanti. Vengo da una famiglia musicofila, dovete sapere, il mio babbo suonava il trombone da giovane. Una volta provò a suonarci Il volo del calabrone, col trombone, e gli si seccarono i polmoni e il fegato gli salì in gola che a momenti si strozzava.
Dunque, viaggio in metropolitana con il mio clarinetto senza astuccio e così via, stile musicista jazz, quand'ecco che salgono un dodici tizi, di corsa, che si scaraventano a bordo del metrò, tipi tosti, capite, di quelli con le nocche pelose e via dicendo. Dev'essere ch'erano in libera uscita da una colonia penale, perché c'era con loro un assistente sociale che quelli non smettevano di sgambettare. Si fermarono proprio davanti a me perché davo, dev'essere, nell'occhio. Si era mangiato pesce in brodetto a pranzo e m'ero scordato di togliermi la bavarola - con ricamato su Nettuno, figurarsi. Mi si affollano tutti d'intorno, e giù a dire parolacce, a fumare e a ridere, e a schiodare i sedili e roba del genere, capite. E io zitto. Me ne sto li, a occhi bassi, e seguito a leggere Heidi, come se niente fosse.
A un certo punto, il capintesta mi punta un dito contro il gargarozzo. Mi alzo in piedi. Lui mi dà una ginocchiata. E io? Mica gli do la soddisfazione di piegarmi in due, no, però mi esibisco in un'imitazione di Montserrat Caballé e caccio un acuto, un do di dolore, che non avete mai sentito l'uguale.
Arrivai con un'ora di ritardo all'Ora del Dilettante. Però vinsi lo stesso il secondo premio, consistente in due settimane di campeggio multirazziale. Fui picchiato sadicamente, ogni giorno, da ragazzi di ogni razza e religione.

"Ragazzo sensibile" di Woody Allen

Tit. orig.: "The Sensitive Kid".
Registrato presso il Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e quindi inciso con il titolo "Brooklyn" su Woody Allen e su entrambe le raccolte.

Io non mi abbronzo facilmente. E neanche difficilmente. Mi spiego, ho i capelli rossicci e la pelle delicatissima. Quando vado in spiaggia non mi prendo una bella tintarella. No, mi becco un brutto colpo di sole.
Eppoi, alla spiaggia non ci andavo mai, perché sono di Brooklyn. I brooklinesi hanno solo Coney Island, che come spiaggia fa schifo. Correva voce durante la guerra che i sottomarini nemici - gli Uboot tedeschi, se vi ricordate - venivano lì, e l'inquinamento li corrodeva, nella zona di mare riservata ai bagnanti.
Ero un ragazzino sensibile, io, un vero poeta. In classe mia c'erano tipetti duri. Ce n'era uno, Floyd, che sedeva nel banco degli asini, capite, e aveva il cervello d'una zucca. Uno di quelli con la mentalità da vegetale. In anni successivi, diventammo però amici, da grandi. Io gli tolsi una spina da una zampa.
Una volta, da ragazzo, me ne stavo andando a lezione di violino. Passo davanti a una sala da biliardo e li c'era la ghenga di Floyd, che stava sgonfiando le gomme delle auto nei paraggi. Non solo a quelle parcheggiate, anche a quelle in movimento.
Io passo oltre come niente fosse e lui mi chiama, fa: "Ehi, Roscio!".
Non ci ho visto più. Ero un ragazzo coraggioso. Poso il violino. Vado là e gli dico: "Non mi chiamo Roscio. Se mi vuoi, rivolgiti a me educatamente. Il mio nome è Heywood Allen, per tua norma e regola."
Trascorsi quell'inverno su una sedia a rotelle dopo che un'équipe di chirurghi mi estrasse il violino. Per mia buona fortuna non prendevo lezioni di violoncello.
Io non sono pugnace. Non so battermi e, poi, ho i riflessi lentissimi. Una volta fui investito da un'auto con una gomma a terra, che la spingevano in due.

"Buttate fuori il pupo" di Woody Allen

Tit. orig.: "Throw the Kid Out"
Registrato dal vivo presso lo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile del 1965, e quindi inciso con il titolo "The Kidnapping" su Woody Allen, Volume 2 e su entrambe le raccolte.

Fui rapito una volta. Me ne stavo davanti a scuola, quand'ecco che arriva una Chevrolet nera, si ferma, ne saltano fuori due tizi. Mi domandano se voglio andare con loro in un paese dove ci sono tutte fate e elfi, dove posso avere tutti i giornalini che voglio, niente scuola, cioccolata, pasticcini, e io dico: vengo con voi. Salgo in macchina con loro, tanto, dicevo fra me e me, chi se ne frega, tanto a scuola eravamo in vacanza.
Mi portano via e poi mandano ai miei genitori una richiesta di riscatto. Mio padre, che legge solo a letto prima d'addormentarsi, incomincia a leggere la lettera dei sequestratori ma, a metà, s'addormenta. La sera dopo, idem.
Frattanto, a me mi hanno portato in una casa di campagna, legato e imbavagliato mani e piedi.
Finalmente i miei si rendono conto che sono stato rapito e passano subito all'azione. Prima cosa, affittarono la mia stanza.
Nella lettera dei rapitori c'è scritto che mio padre deve lasciare mille dollari in un albero cavo nel New Jersey. Il denaro lo racimola senza difficoltà, ma poi non riesce a trovare in tutto il New Jersey un albero cavo che gli sembri adatto.
La polizia circonda il cascinale. "Buttate fuori il ragazzino", ordinano. "Consegnate le armi e uscite a mani in alto."
I rapitori rispondono: "Il ragazzino lo buttiamo fuori, ma vogliamo tenerci le pistole e raggiungere la nostra auto".
La polizia, di rimando: "Buttate fuori il pupo. Vi consentiremo di raggiungere la vostra auto, ma dovete consegnare le pistole".
Allora i rapitori: "Buttiamo fuori il pupo ma lasciateci le pistole. Rinunciamo a raggiungere la nostra auto".
La polizia dice: "Tenetevi il ragazzo".
Poi decidono di stanarli mediante lacrimogeni, ma siccome non hanno con sé i candelotti, alcuni agenti interpretano la scena finale della Bohème, quando lei muore.
In lacrime, i miei rapitori si arrendono. Vengono condannati a quindici anni di lavori forzati e incatenati, in dodici, per le caviglie. Riuscirono a evadere, però, spacciandosi per un enorme braccialetto portafortuna.

"Il cuore del Vecchio Mondo" di Woody Allen

Tit. orig.: "The Heart of the Old World".
Registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo 1964 e quindi inciso con A titolo "NYU" su Woody Allen. Successivamente è stata incisa una versione, ampiamente riveduta e corretta, e inclusa in entrambe le raccolte.

I miei sono gente all'antica. Vengono da Brooklyn, ch'è come dire Piccolo Mondo Antico. Gente solida, terra-terra, contraria al divorzio. I loro supremi valori sono Dio e la Moquette.
Sono andato a trovarli, una domenica, tanto tempo fa. Mio padre stava guardando alla tivù uno spettacolo ambientato al Manicomio Criminale dell'Indiana.
Mia madre, in un angolo, stava lavorando a maglia un pollo.
Io gli diedi la notizia del divorzio. Mia madre allora posò i ferri da calza. Si alzò, si avvicinò al forno a legna, l'aprì, e ci si infilò dentro. L'aveva presa molto male, credo.

"Mio nonno era un uomo del tutto insignificante" di Woody Allen

Tit. orig.: "My Grandfather Was a Very Insignificant Man".
Registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e quindi inciso con il titolo "My Grandfather" su Woody Allen e su entrambe le raccolte.

Ci tengo a sfoggiare quest'orologio. Lo tiro fuori in continuazione. E' un orologio da taschino, antico, e mi dà un'aria da gentleman inglese. Eppoi mi torna utile, in analisi. E' un superbo orologio d'oro. Ne sono fiero. Era di mio nonno. Me lo ha venduto lui in punto di morte.
In verità mio nonno era un uomo del tutto insignificante. Al suo funerale, il carro funebre seguiva le altre macchine.
Fu un bel funerale, però. Vi sarebbe piaciuto. Bellissimo. Fecero un grande rinfresco, in una grande sala per esequie, con suonatori di fisarmonica. Sul tavolo del buffet era imbandito il caro estinto... voglio dire, la sua effigie fatta con patate lesse, olive e ravanelli.

"Collegio militare" di Woody Allen

Tit. orig.: "Military school".
Brano estrapolato dal lungo monologo "A Love Story", è stato registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e successivamente inciso su Woody Allen e su entrambe le raccolte.

Era cresciuta a Darien, nel Connecticut, e aveva un fratello più piccolo. A sei anni, questo fratello fu mandato al collegio militare. Un brutto giorno, venne beccato a rubare la marmellata. Trattandosi di una scuola militare, la disciplina era molto rigida, e il ragazzino fu deferito alla corte marziale. Riconosciuto colpevole, fu condannato alla fucilazione. Alla famiglia restituirono metà della retta.

"Un ex studente" di Woody Allen

Tit. orig.: "A History of Hygiene Major".
Brano estratto di "Second Marriage", un lungo monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e quindi inciso su The Third Woody Allen Album La versione riveduta e corretta è inclusa in entrambe le raccolte.

Ho letto sulla rivista Life che è in corso una rivoluzione sessuale su tutti i campus universitari, e allora sono andato a iscrivermi a un corso di laurea per accertarmene di persona. Avevo già frequentato la New York University anni addietro, e dovevo laurearmi in Storia dell'Igiene. Ma poi venni espulso e allora dovetti cercarmi un lavoro. Mi assunse mio padre, che aveva una drogheria a Brooklyn. Mi prese come garzone, e fu il mio primo impiego. Mi diedi a organizzare sindacalmente i lavoratori del settore. Indicemmo uno sciopero a oltranza. Mio padre andò fallito. Da allora mi guarda un po' storto.

"Discussioni d'alta filosofia" di Woody Allen

Tit. orig.: "Deep Philosophical Arguments".
Brano tratto dal lungo monologo registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964. Successivamente è stata incisa una versione, ampiamente riveduta e corretta, intitolata "NYU" su Woody Allen e su entrambe le raccolte.

Subito dopo sposati, mia moglie cominciò a comportarsi in modo strano. Si iscrisse all'università, per laurearsi in filosofia. Prese a vestirsi tutta di nero, senza trucco e in calzamaglia. Un giorno si forò le orecchie con la macchinetta d'un controllore delle ferrovie. A me mi trascinava in profonde discussioni filosofiche, allo scopo di dimostrare che io non esistevo. Il che mi mandava in bestia.

"Addomesticare gli elettrodomestici" di Woody Allen

Tit. orig.: "Mechanical Objects"
Monologo ("In Downtown Los Angeles") incluso in The Third Woody Allen Album e registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968. Entrambe le raccolte ne contengono una versione riveduta e corretta.

Questa non so se l'avete già sentita. Molto tempo fa - è una strana storia - mi trovavo a Los Angeles. Fui invitato a una festa a casa d'un grosso produttore. A quell'epoca c'era in progetto di trarre una commedia musicale dal Sistema Metrico Decimale; e cosi volevano che ci lavorassi io. Mi recai dunque nell'ufficio di quel produttore, al centro di Los Angeles.
Entro in ascensore. Non c'è nessuno. Non ci sono pulsanti né niente. E si ode una voce che dice: "Dica a che piano deve andare, prego".
Mi guardo intorno. Non c'è nessuno. Sono preso dal panico. Poi vedo un cartello che dice che si tratta di un ascensore di nuovo tipo, che funziona col sonoro. Basta pronunciare il numero del piano cui voglio salire, e lui mi ci porta. Allora dico: "Al terzo, per favore".
Le porte si chiudono, l'ascensore parte. A questo punto incomincio a sentire un certo impaccio perché io parlo, credo, con un leggero accento newyorkese, mentre l'ascensore non ha nessuna sfumatura dialettale.
Al terzo piano, scendo. Mi avvio per il corridoio e mi guardo indietro. Mi era parso di sentire l'ascensore fare un commento. Allora mi volto rapidamente ma le porte si richiudono subito e l'ascensore ridiscende. Lasciamo perdere... non mi andava di aver a che dire con un ascensore di Los Angeles, a quel tempo... Ma non è questa la parte strana della storia, questa è la parte più o meno normale.
Non ho mai avuto, in vita mia, un buon rapporto con gli oggetti meccanici, di alcuna sorta. Tutto ciò con cui non posso ragionare, che non posso vezzeggiare e coccolare, mi mette in crisi. Ho un orologio le cui lancette si muovono, chissà perché, in senso antiorario. Ho una lampada solare, a raggi ultravioletti, che quando mi stendo per prendere la tintarella, si annuvola e mi piove addosso. Ho un tostapane ch'è un bruciapane. Odio la doccia che ho in casa, perché basta che un, solo cittadino degli Stati Uniti apra l'acqua di casa sua per farmi schizzare fuori tant'è bollente. Ho un registratore a nastro, che m'è costato centocinquanta dollari, e, quando gli detto qualcosa, mi fa: "Lo so, lo so".
Circa tre anni fa, ne ebbi abbastanza. Una sera convocai tutti i miei apparecchi in salotto, dal primo all'ultimo: tostapane, orologio, frullatore e compagnia bella. E così tenni loro un discorsetto. Fui adorabile. Esordii con una battuta di spirito, poi venni al sodo: "Non so cosa v'è preso, però dateci un taglio".
Mi rivolsi uno a uno a tutti gli elettrodomestici, per addomesticarli. Fui molto eloquente. Alla fine, provai un gran sollievo.
Due sere dopo, sto lì a guardare la televisione, quand'ecco che il televisore si mette a saltellare su e giù. Mi alzo in piedi e... io parlo sempre prima di colpire... e gli dico: "Credevo di essermi spiegato bene. Qual è il problema?".
Il televisore seguitava a saltellare. Allora lo colpii, di gusto. Lo picchiai di santa ragione. Gli divelsi l'antenna. Mi sentii molto virile.
Di lì a un paio di giorni, vado dal dentista, nel centro di New York. Anche lì c'è uno di questi ascensori parlanti che mi fa: "Gentilmente, dica a che piano deve andare". E io: "Al sedicesimo". Le porte si chiudono e l'ascensore parte. A un certo punto mi fa: "E' lei quello che ha picchiato un televisore?".
Mi sentii proprio un fesso, capirete. L'ascensore mi fece andare su e giù. Poi mi riportò giù di furia e mi scaricò nel seminterrato, gridandomi dietro improperi antisemiti.
Ma non è finita li. Quello stesso giorno, telefono ai miei. Mio padre era stato licenziato dalla ditta per cui lavorava da ben dodici anni. Lo avevano sostituito con un apparecchio che faceva tutto quello che faceva lui - solo che lo sapeva fare molto meglio. E non basta ancora. La cosa più deprimente è che mia madre era corsa subito a comprare quell'aggeggio.

"A scapicollo per la Quinta Avenue" di Woody Allen

Tit. orig.: "Running Down Fifth Avenue".
Brano del monologo "The Great Renaldo", è stato registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e poi inciso su The Third Woody Allen Album e sulle due raccolte.

Stavo guardando alla tele il programma di Ed Sullivan, una sera, e fra gli ospiti in studio c'era un famoso ipnotizzatore chiamato The Great Rinaldo. Questo Rinaldo chiama quattro giovanotti tra il pubblico in sala e, zan zan, li ipnotizza. Gli fa: "Voi adesso credete di essere un'autobotte dei pompieri".
A me, davanti al teleschermo, a casa mia, mi si appesantisce la testa. Mi addormento. Mi sveglio un'ora dopo. Spengo il televisore e, tutt'a un tratto, son preso dalla voglia, incontrollabile, di mettermi la tuta di flanella rossa. Vestito di rosso, mi guardo allo specchio. In quella, squilla il telefono. Esco di casa a precipizio e mi metto a correre a scapicollo giù per la Quinta Avenue, emettendo un lacerante fischio di sirena. All'incrocio con la 14a Strada, vado a sbattere contro un tale che, pure lui, indossa una tuta rosso fiamma.
Decidiamo di formare un'unica autobotte.
Ci dirigiamo, di corsa, verso Greenwich Village. A un certo punto. ci imbattiamo in due tipi in tuta rossa che stan correndo nella direzione opposta. Hanno tutta l'aria di saperlo, dov'è l'incendio. Allora ci accodiamo a loro.
All'incrocio con la 86a Strada, un poliziotto ci ferma e ci fa: "Siete in arresto. Salite in macchina, e poche storie". A me adora prende una ridarella isterica, perché questo pirla vorrebbe far entrare un'autobotte dentro una miserabile Chevrolet!

"Un non so che di seducente in me" di Woody Allen

Tit. orig.: "Something Seductive About Me".
Registrazione effettuata dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e incisa con il titolo "Las Vegas" su The Third Woody Allen Album. In entrambe le raccolte appare una versione leggermente ridotta intitolata "Vegas".

Era la prima volta che andavo a Las Vegas. Intendiamoci, non, sono un giocatore. Lo dovreste sapere, questo, sul mio conto. L'unica volta in vita mia che andai alle corse scommisi su un cavallo chiamato Mitraglietta. Quando tutti i cavalli entrarono in pista, il mio, mi accorsi, aveva le rotelle.
Dovete credermi quando ve lo dico: c'è un nonsoché di seducente in me, quando lancio i dadi. Insomma, me ne sto lì, al tavolo da gioco e sto lanciando i dadi, quand'ecco che viene: avanti una donna, molto provocante, e si mette a squadrarmi dalla testa ai piedi. Allora la porto su in camera con me. Chiudo la porta, mi tolgo gli occhiali, e non intendo usarle nessuna misericordia. Mi sbottono la camicia. E lei si sbottona la camicia. Le sorrido. Mi sorride. Mi tolgo la camicia, si toghe la camicia, le strizzo l'occhio, mi strizza l'occhio. Mi tolgo i pantaloni, lei si toglie i pantaloni e, a questo punto, mi accorgo che mi sto guardando allo specchio.
Non intendo entrare nei particolari, basti dire che poi, per due settimane, seguitai a estrarmi schegge di cristallo dalle gambe.

"Appuntamenti al buio" di Woody Allen

Tit. orig.: "A Bad History with Blind Dates".
Brano tratto da "Second Marriage", un lungo monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e poi inciso su The Third Woody Allen Album e su entrambe le raccolte.

Poi, quando tornai a scuola, ecco che, tutt'a un tratto, tutti volevano aiutarmi a trovare una donna, organizzando per me una serie di appuntamenti al buio. E che si risolsero in una delusione dietro l'altra. Intendiamoci bene. Io ritengo che il sesso sia una cosa molto bella, fra due persone. Fra cinque, è fantastica.

"E' stata violata" di Woody Allen

Tit. orig.: "She Was Violated".
Brano tratto da "Second Marriage", un lungo monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e poi inciso su The Third Woody Allen Album e su entrambe le raccolte.

Poi mi sono risposato. Sì, ma avrei dovuto capirlo subito che c'era qualcosa che non andava, nella mia prima moglie, fin da quando la portai a conoscere i miei genitori. Per il fatto che a loro piacque molto, ma il cane di casa morì.
Devo star molto attento a quel che dico su di lei pubblicamente, perché quella mi querela. Non so se l'avete letto sul giornale, ma mi ha querelato perché ho fatto "commenti maligni" su di lei, cosa che non ha gradito granché. Abita nell'Upper West Side e una notte che stava rincasando a tarda ora, da sola, è stata violata. Così stava scritto appunto sul giornale: "E' stata violata". A me chiesero un commento, per la cronaca. E io dissi: "Conoscendo la mia ex moglie, probabilmente non si sarà trattato di una violazione emozionante".

"Il naufragio di un matrimonio" di Woody Allen

Tit. orig.: "I Had a Rough Marriage".
Registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964, è stato inciso con il titolo "My Marriage" su Woody Allen e, in una versione riveduta, su entrambe le raccolte.

Vorrei parlarvi del mio matrimonio, che non ha nulla da invidiare al naufragio dell'Andrea Doria. Sì, la mia vita coniugale è stata un inferno. Fatto sta che mia moglie era una donna molto immatura, non aggiungo altro. Basti questo episodio, a riprova della sua immaturità. Io sto facendo il bagno, nella vasca, e lei entra quando le pare, senza neanche chiedere permesso, e mi affonda le barchette.
In parte però è colpa mia, se abbiamo divorziato. Ho sempre avuto, nei suoi confronti, un atteggiamento schifoso. Durante il primo anno di matrimonio, tendevo a porre mia moglie sotto un piedistallo.
Siamo stati un bel pezzo a litigare, a scannarci, e alla fine abbiamo deciso che sarebbe stato meglio prenderci una vacanza o divorziare. Ne abbiamo discusso pacatamente, da persone mature, e abbiamo optato per il divorzio poiché potevamo spendere solo una certa somma. Eppoi, una vacanza alle Bermuda dura due settimane, laddove un divorzio dura tutta la vita.
Già mi vedo libero di nuovo, abitare nel Village da scapolo, in un bell'appartamentino con caminetto, soffici tappeti e, alla parete, un buon Picasso di Van Gogh. Senza contare hostess scatenate, bellissime, che mi scorrazzano intorno.
L'idea mi eccitava moltissimo, e venni dunque al sodo. La misi giù dura. Le dissi: "Quasimodo, voglio il divorzio".
E lei mi disse: "Va bene, pigliati il divorzio".
Senonché viene fuori che nello Stato di New York vige una strana legge, per cui non ottieni il divorzio se non fornisci prova di adulterio. Ciò è bizzarro, poiché uno dei Dieci Comandamenti dice: "Non desiderare la donna d'altri". Sia come sia, lo Stato di New York ti istiga invece all'adulterio.
Si viene così a creare una sorta di tiro alla fune fra Dio e il Governatore.
Ne conseguiva che uno di noi due doveva per forza commettere adulterio. Mi offrii volontario io.
Ma quando sei sposato e fuori dal giro, non sono molte le donne che hai sottomano. L'unica che avevo a tiro era Nancy, la miglior amica di mia moglie. Quindi le telefonai per chiederle se voleva commettere adulterio con me. Mi rispose: "Ma neanche a beneficio del Programma Spaziale". Il che interpretai come un cauto rifiuto.
Andò a finire che fu mia moglie a commetterlo, per me, un adulterio?. E' sempre stata più incline di me alla meccanica.

"Stavo per ammazzarmi" di Woody Allen

Tit. orig.: "I Was Going to Kill Myself".
Brano tratto da "Second Marriage", un lungo monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e poi inciso su The Third Woody Allen Album. Una versione riveduta e corretta appare su entrambe le raccolte.

Ero molto depresso, in quel periodo. Intendevo uccidermi ma, come ho già detto, ero in analisi, e i freudiani sono molto severi al riguardo, ti fanno pagare le sedute che perdi.

"La prima volta che recitai" di Woody Allen

Tit. orig.: "The First Time I Ever Acted".
Registrazione dal vivo effettuata allo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile del 1965 e incisa con il titolo "What's New Pussycat?" su Woody Allen, Volume 2. Il monologo riveduto e corretto appare con un nuovo titolo, "European Trip", nelle due raccolte.

Sono stato in Europa, ultimamente, per sei mesi, a girare un film intitolato "Ciao, Pussycat", con Peter O'Toole, Peter Sellers e il sottoscritto, nell'ordine.
E' stata la mia prima esperienza come attore. Sì, avevo recitato altre volte, ma non le conto neppure. Roba di tanti e tanti anni fa. All'asilo, mettemmo su l'Otello e io facevo lago. Uno dei migliori laghi cinquenni che abbiano mai calcato le scene.
Il film l'ho scritto io, ed è largamente autobiografico... Anzitutto però, devo raccontarvi come sono arrivato in Europa, una storia affascinante.
Ecco come sono andate le cose. Io mi esibivo in un caffè-teatro del Greenwich Village a New York, chiamato Brio e Brioches, dove facevo il presentatore ed eseguivo anche dei numeri. Uno, in tandem con una cantante eschimese che cantava Night and Day per sei mesi difilato.
Ebbene, una sera capitò in quel locale il produttore Feldman. Si innamorò di me a prima vista. Mi trovò superbo, sensuale e affascinante, cioè nato per il cinema. Feldman è bassino di statura, capelli rossi e occhiali...
Basta, mi porta con sé in Europa - tutto pagato. Durante li viaggio, proiettano un film con Irene Dunne sulla trasvolatrice Amelia Earhardt. Tremavo tanto da non fermarmi più.
Incontrai una ragazza, dal mio psicanalista europeo... Facciamo un passo indietro. Io andavo da uno psicanalista europeo e un europeo andava nel frattempo dal mio psicanalista di New York - in base a un programma di scambio fra nevrotici.
L'Europa per me, sta di fatto, fu una serie di fiaschi o quasi. A una festa, per esempio - una festa cui prendevano parte attori, attrici e compagnia bella - me ne stavo in disparte, a suonare il vibrafono, quand'ecco che un bel pezzo di bionda mi si accosta e mi fa: "Suoni il vibrafono, tu?". Dico: "Sì, mi aiuta a sublimare le tensioni sessuali". Dice: "Perché non mi consenti di aiutarti a sublimarle, queste tensioni sessuali?". Al che io mi rallegro tutto, ecco una ragazza - dico, tra me e me - che suona il vibrafono.
Sto per chiederle di uscire insieme quand'ecco che si intromette Peter O'Toole che mi ruba la parola di bocca e mi l'a fuori al primo colpo. La ragazza era bellissima, sapete, allora le dico: "Non potresti portare una sorella, per me?". Oh, sì, si. Si presentò Suor Teresa di Calcutta.
La serata fu alquanto noiosa. Ci mettemmo a discutere del Nuovo Testamento. Convenimmo che Gesù era una persona straordinariamente ben equilibrata, per essere figlio unico.

"La generazione perduta" di Woody Allen

Tit. orig.: "The Lost Generation"
Monologo registrato dal vivo allo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile del 1965, e poi inciso su Woody Allen, Volume 2 e su entrambe le raccolte.

Ero in Europa, tanti anni fa, con Ernest Hemingway. Hemingway aveva appena scritto il suo primo romanzo e lo diede a leggere a Gertrude Stein e a me. Gli dicemmo che era un buon romanzo ma non un grande romanzo. Aveva bisogno di una ripulitina, poi sarebbe potuto passare. Ci ridevamo e scherzavamo su, e Hemingway mi mollò un cazzotto in bocca.
A quel tempo, Picasso abitava in Rue de Bacque. Una sera l'andammo a trovare, e aveva appena finito di dipingere un odontotecnico, nudo, nel deserto del Gobi. Gertrude Stein disse che era un buon quadro ma non un grande quadro, e ci mettemmo a ridere, e Hemingway mi mollò un cazzotto in bocca.
Mi ricordo quando Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda rientrarono da uno sfrenato veglione di Capodanno. Era aprile inoltrato. Scott aveva appena finito di scrivere Grandi speranze. Gertrude Stein e io lo leggemmo e trovammo che era un buon romanzo, ma non c'era bisogno di scriverlo perché lo aveva già scritto Charles Dickens. Ci ridemmo su e Hemingway mi mollò un cazzotto in bocca.
Quell'estate andammo in Spagna a vedere Manolete toreare. Dimostrava diciotto anni e Gertrude Stein disse che, no, ne aveva diciannove anche se ne dimostrava diciotto. "Tantevolte", le dissi, "un ragazzo di diciotto anni ne dimostra diciannove, laddove, tante altre volte, un diciannovenne può sembrare facilmente un diciottenne, e questo vale particolarmente per uno spagnolo purosangue". ridemmo su e Gertrude Stein mi mollò un cazzotto in bocca.

"Ho scritto un film di fantascienza" di Woody Allen

Tit. orig.: "I Wrote a Science Fiction Film".
Registrato dal vivo allo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile 1965, è stato inciso con il titolo "Science Fiction Movie" su Woody Allen, Volume 2 e con il titolo "The Science Fiction Film" su entrambe le raccolte.

Ho scritto un film di fantascienza, e ve lo voglio raccontare. Sono le quattro e dieci del pomeriggio e tutti quanti, sulla faccia della Terra, misteriosamente si addormentano. Così, semplicemente - al volante dell'auto, al gabinetto, dovunque si trovino, qualunque cosa facciano - zac - si addormentano tutti. I russi, i cinesi, gli americani - il mondo intero dorme esattamente per un'ora. Alle cinque e dieci, al risveglio, tutti gli abitanti del mondo cominciano a confezionare pantaloni.
State bene a sentire, perché è una trovata brillante.
Tutti dietro a tagliare, a cucire, ad applicare la lampo, ad attaccare i bottoni, quand'ecco che arriva un'astronave da un altro pianeta e ne scendono uomini in giacca, camicia, cravatta, mutande e calzini, ma senza calzoni. "Sono pronti i pantaloni?" domandano.
E noi gli rispondiamo: "No, tornate giovedì".
Loro dicono che ne hanno urgenza perché devono andare a un matrimonio.
Noi lavoriamo alacremente e confezioniamo pantaloni di continuo. Loro tornano e, dopo che li hanno ritirati, ci lasciano calzini sporchi, fazzoletti, federe, lenzuoli e altra biancheria sporca. "Lavatecela", dicono.
Il Presidente degli Stati Uniti va in onda alla televisione e dice: "Una superpotenza aliena, proveniente dagli spazi siderali, dotata di intelligenza superiore, ci porta la sua biancheria sporca, senonché le sue mire vengono sventate, perché, dopo aver viaggiato per 117 milioni di anni luce per venirla a ritirare, dimentica lo scontrino".

"Trovai lavoro in Madison Avenue" di Woody Allen

Tit. orig.: "I Got a Job on Madison Avenue".
Brano estrapolato da "Love Story", un lungo monologo registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e inciso su Woody Allen. La versione riveduta è compresa in entrambe le raccolte.

Venni espulso dall'università, dopo di che trovai lavoro a New York, in Madison Avenue. Un'agenzia pubblicitaria d'alto bordo, con sede appunto in questa via elegante, aveva bisogno di uno dall'aria di ebreo. Lo pagavano 95 dollari a settimana, solo per sedere in ufficio con quell'aria. Volevano dimostrare al mondo esterno che assumevano impiegati d'ogni razza. Mi spiego? Così assunsero me. Dovevo solo fare l'ebreo, in agenzia. Io cercavo di darmi un aspetto più ebraico che mai. Leggevo le lettere da destra a sinistra, per esempio. Mi cacciarono, alla fine, perché mi prendevo troppe vacanze ebraiche.

"Niente di psichedelico" di Woody Allen

Tit. orig.: "Consciousness Expanding Material".
Brano estrapolato da "Second Marriage", un lungo monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e poi inciso su The Third Woody Allen Album. Il monologo è stato successivamente incluso nelle due raccolte.

Non faccio mai uso - lo dovreste sapere, anche questo - di sostanze psichedeliche, né di droghe d'alcun genere. Il mio organismo non le tollera. Diedi per sbaglio una tirata a uno spinello, una volta, a una festa. Le guardie mi dovettero fermare. Mi ruppi due denti, cercando di fare un succhiotto alla Statua della Libertà.

"Una tarma mi mangiò la giacca sportiva" di Woody Allen

Tit. orig.: "A Moth Ate My Sports Jacke".
Brano del monologo "The Great Renaldo", è stato registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto del 1968 e poi inciso su The Third Woody Allen Album e sulle due raccolte.

Tornai a casa una sera, mesi fa, e nell'armadio trovai che una tarma mi aveva mangiato la giacca sportiva. Stava stravaccata in terra, in preda a un travaglio di stomaco. La mia bella giacca nuova, a strisce verdi e gialle! La tarma, grassa da scoppiare, si teneva la pancia e gemeva. Un pezzo di manica le spenzolava fuori dalla bocca. Le diedi un paio dì calzini, tinta unita, e le dissi: "Buttane giù uno subito e l'altro fra mezz'ora".

"A caccia di alci" di Woody Allen

Tit. orig.: "I shot a Moose Once".
Monologo registrato dal vivo allo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile del 1965 e poi inciso con il titolo "The Moose" in Woody Allen, Volume 2 e, in una versione integrale, su entrambe le raccolte.

Questa è assolutamente da non credere. Abbattei un alce, un giorno. Andavo a caccia, su, verso il confine col Canada, e abbattei un alce. Lo lego al parafango, e via. Me ne torno a New York, sull'autostrada. Però non mi ero accorto che l'avevo colpito di striscio: l'alce era solo tramortito. Alle porte di New York comincia a riprendere conoscenza. Eccomi dunque a viaggiare con un alce vivo sul parafango, laddove c'è una legge nello Stato di New York che lo vieta espressamente - di viaggiare con un alce vivo sul parafango - il martedì, il giovedì e il sabato. Vengo preso dal panico.
Allora mi sovviene che un mio amico dà una festa in costume, quella sera. Prendo una decisione: vado e ci porto l'alce. L'imbuco e me ne lavo le mani. Detto e fatto. Arrivo e busso alla porta con l'alce appresso. Il padrone di casa ci accoglie sulla soglia. "Ciao", gli faccio, "ho portato anche mia moglie". Entriamo. L'alce socializza subito. Non se la cava mica male. Tanto più che un tale cerca, con una certa insistenza, di vendergli una polizza d'assicurazione.
A mezzanotte c'è la premiazione per i costumi più belli. Vincono il primo premio i coniugi Berkowitz, travestiti da alce. L'alce arriva secondo. Come monta su tutte le furie! Lui e i coniugi Berkowitz si prendono a cornate, li, in salotto. Si tramortiscono a vicenda.
Ecco, dico fra me, il momento opportuno. Acchiappo l'alce, lo lego al parafango e via - torno nei boschi. Senonché ho agguantato i coniugi Berkowitz. Ed eccomi a viaggiare con due ebrei sul parafango. Laddove vige una legge nello Stato di New York, per cui ciò è severamente vietato il martedì, il giovedì e soprattutto il sabato...
La mattina seguente, i coniugi Berkowitz si risvegliano nel bosco in costume da alce. Di li a poco il consorte viene abbattuto, imbalsamato ed esposto, come trofeo di caccia, al Circolo Atletico di New York. E da ridere, veramente, perché a quel club non sono ammessi gli ebrei.

"Una crisi morale" di Woody Allen

Tit. orig.: "An Ethical Crisis'.
Brano tratto da "The Vodka Ad", un monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto dei 1968 e poi inciso in The Third Woody Allen Album. Nelle raccolte appare una versione riveduta.

Una grossa casa produttrice di vodka voleva fare uno spot di prestigio. Si erano rivolti in prima istanza a Noel Coward, che però non era disponibile. Aveva infatti acquistato i diritti di My Fair Lady, dal quale stava togliendo la musica e le parole per tornare al Pigmalione. Come arrivarono poi fino a me? Mali, trovarono il mio nome in una lista che Eichmann aveva in tasca al momento dell'arresto.
Dunque, me ne sto tranquillo a casa, quando squilla il telefono. Una voce gentile all'altro capo mi dice: "Le piacerebbe essere l'uomovodka di quest'anno?".
Dico: "No. Sono un artista. Non faccio spot. Non reclamizzo. Non bevo vodka e, se anche la bevessi, non berrei la vostra".
"Che peccato. Era un'offerta da cinquantamila dollari."
"Un momento", gli dissi. "Le passo Woody Allen"
Così, entrai in crisi. Una crisi morale. Dovevo far pubblicità a un prodotto che non usavo? Questo era il dilemma. Io non bevo, il mio organismo non tollera alcolici. Avevo bevuto due martini a Capodanno, e poi avevo cercato di dirottare un ascensore su Cuba.
In passato, quando avevo problemi del genere, consultavo il mio psicanalista. Ciò è di dominio pubblico. A lungo sono stato in analisi. Una terapia rigorosamente freudiana. Il mio analista è morto due anni fa e io non me ne sono mai reso conto.
Adesso, quando ho scrupoli di coscienza, mi rivolgo al mio consigliere spirituale - che nella fattispecie è un rabbino. Gli telefonai dunque, gli esposi il caso e lui mi disse: "Non farlo, perché è immorale pubblicizzare, a scopo di lucro, un prodotto che tu non usi".
Okay, rinunciai allo spot. Mi ci volle un bel coraggio, devo dire, perché ero scannato, a quel tempo. Stavo scrivendo avevo bisogno di denaro per essere creativamente libero. Stavo lavorando a una versione cinematografica del Rapporto Warren.
Un mese dopo, sfoglio le pagine della rivista Life e mi cadono gli occhi su una foto di Monique Van Buren in bikini su una spiaggia di Trinidad, e accanto a lei, con una vodka fresca in mano, c'è il mio rabbino.
Allora gli telefono, lui prima tergiversa, poi quello che vien fuori è questo: vuol buttarsi nel mondo dello spettacolo. Era già apparso in televisione, per recitare una preghiera, e aveva cantato il Salmo Ventesimo-Terzo, improvvisando da un certo punto in poi. Gli era stato chiesto, dal presentatore, di elencare i sette peccati mortali ma lui si era impappinato e aveva elencato invece i setti nani. Adesso apre una discoteca, insieme ad alcuni suoi colleghi: i Rabbini in topless - cioè senza zucchetto in testa.

"Un predicatore impazzito" di Woody Allen

Tit. orig.: "A Beserk Evangelist".
Brano estrapolato dal "Bullet in My Breast Pocket", il monologo registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e poi inciso su Woody Allen e su entrambe le raccolte.

Anni fa, mia madre mi regalò una pallottola di fucile. Me la misi nel taschino della giacca. Due anni dopo, camminavo tranquillo per strada quando un predicatore, impazzito, scagliò una Bibbia rilegata in pelle dalla finestra d'un albergo e mi colpì in pieno petto. Quella Bibbia mi avrebbe trapassato il cuore, se non fosse stato per la pallottola.

"Un tremendo conflitto religioso" di Woody Allen

Tit. orig.: "A Tremendous Religious Conflict".
Brano estrapolato da "N.Y.U.", un monologo registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e poi inciso su Woody Allen. Nelle raccolte appare una versione riveduta.

Frequentavo, tanto tempo fa, la New York University, che si trova nel Greenwich Village. E' là che ho cominciato. Ero una matricola quando mi innamorai di una collega di lettere, il mio primo amore. Ma non la sposai perché c'era, fra noi, un tremendo conflitto religioso. Lei era atea, io agnostico. Non sì era d'accordo su quali insegnamenti religiosi non impartire ai nostri figli.
Per un pezzo, poi, feci il vagabondo, finché non incontrai la donna che sarebbe diventata mia moglie. La sposai contro il volere dei miei genitori. Fummo uniti in matrimonio da un rabbino riformato - estremamente riformato: si era convertito ai nazismo.

"La vita mi passò davanti agli occhi" di Woody Allen

Tit. orig.: "My Life Passed Before My Eyes".
Monologo registrato dal vivo all'Eugene's di San Francisco nell'agosto 1968 e poi inciso col titolo "Down South" su The Third Woody Allen Album e su entrambe le raccolte.

Mi trovavo giù al sud, nel Profondo Sud, e fui invitato a una festa in costume. Accettai volentieri l'invito, era Halloween, e decisi di andarci travestito da fantasma. Prendo un lenzuolo e mi ci avvolgo tutto. Esco per andare alla festa. Dovete figurarvi la scena: io che cammino per le strade d'una cittadina del Profondo Sud con un lenzuolo bianco sulla testa. Si ferma una macchina, con tre tipi a bordo, avvolti in lenzuoli bianchi, e uno mi fa: "Sali". Arguii che anche loro andavano alla festa travestiti da fantasmi. Salii tranquillamente, ma dopo un po' mi accorsi che stavamo andando da un'altra parte e glielo dissi.
E loro: "Passiamo a prendere il Grande Drago".
D'un tratto mi venne un lampo di genio. Profondo Sud. Lenzuoli bianchi. Grande Drago. Feci presto a fare due più due quattro. Arguii che un loro amico stava andando alla testa travestito da drago.
Poco dopo sale a bordo un omaccione e mi rendo conto che quei tipi sono membri del Ku Klux Klan. Quattro, e ben armati. Lo sportello è bloccato. Mi pietrifico. Cerco in qualche modo di trarli in inganno, buttando là qualche parola nel dialetto dell'Alabama. Accanto a me è seduto il capo del clan - lo si riconosce per via delle lenzuola con gli angoli.
Arriviamo sul luogo di riunione, in aperta campagna, e qui mi tradisco, purtroppo, perché - quando fanno la colletta e tutti gli altri versano un contributo in contanti - io dico: "Mi impegno per cinquanta dollari". Mi sgamarono immediatamente.
Mi tolsero il cappuccio e mi misero un cappio intorno al collo. Decidono di impiccarmi li per li. Allora tutta quanta la mia vita mi passò davanti agli occhi. Mi rividi bambino, nel Kansas. Andare a scuola, sguazzare nel laghetto. Andar giù al fiume a pescare. Andare dal droghiere a comprare i tarallucci per zia Marta...
A questo punto mi accorgo che non è la mia vita, quella. Stanno per impiccarmi e una vita fasulla mi sta passando davanti agli occhi.
Allora parlai loro. Fui molto eloquente e dissi: "Ragazzi, questo paese non può sopravvivere se non ci si ama fraternamente a vicenda, indipendente mente dalla fede religiosa e dal colore della pelle". Li commossi talmente, con le mie parole, che non solo mi lasciarono andare ma, quella sera, vendetti loro Buoni pro Israele per oltre duemila dollari.

"Ha sofferto molto?" di Woody Allen

Tit. orig.: "Did He Suffer Much?".
Brano tratto da "Eggs Benedict", un monologo registrato dal vivo allo Shadows di Washington, D.C., nell'aprile del 1965, e poi inciso su Woody Allen, Volume 2. Nelle due raccolte appare una versione riveduta.

A quel tempo, avevo un dolore alla regione toracica. Ero sicuro che dipendesse da bruciore di stomaco poiché, a quell'epoca, ero sposato e mia moglie mi cucinava sempre la sua ricetta nazista preferita: Pollo alla Himmler.
Ma non mi andava di sborsare venti dollari per sentirmelo semplicemente confermare da un medico qualunque - che si trattava di acidità di stomaco - senonché ero preoccupato, trattandosi, è vero, della regione toracica. Viene fuori che un mio caro amico, Eggs Benedict, ha un dolore identico al mio, nella stessa regione toracica. Allora - mi dico - se ci mando Eggs dal medico, vengo a sapere di che cosa soffro senza spendere un soldo.
Quindi convinco Eggs, e lui va. Risulta che ha bruciore di stomaco. Gli costa 25 dollari. Io esulto, perché ho praticamente scroccato una visita medica.
Telefono a Eggs due giorni dopo. E' morto.
Mi ricovero immediatamente. Mi faccio fare subito tutta una serie di esami, di analisi, raggi, controlli. Risulta che ho bruciore di stomaco. Mi costa centodieci dollari.
Sono fuori dal gangheri, adesso. L'altro giorno ho incontrato la madre di Eggs e le ho chiesto: "Ha sofferto molto?".
"No", mi fa, "è morto sul colpo. L'ha investito una macchina".

"Tutto sommato" di Woody Allen

Tit. orig.: "Summing Up".
Brano registrato dal vivo al Mr. Kelly's di Chicago nel marzo del 1964 e poi inciso su Woody Allen e sulle due raccolte.

In conclusione, vorrei avere un qualche messaggio positivo da trasmettervi. Non ce l'ho.
Vi accontentate di due messaggi negativi?

I verbi irregolari

I verbi irregolari ti fanno arrabbiare? Ecco come coniugarli senza sbagliare.

Verbi irregolari della prima coniugazione: -are

andare (ausiliare essere)
indicativo pres.: vado (tosc. o letto vo), vai, va, andiamo, andate, vanno;
indicativo imperf.: andavo, andavi ecc.; indicativo pass. rem.: andai, andasti ecc.; indicativo fut.: andrò, andrai ecc. congiuntivo pres.: vada, vada, vada, andiamo, andiate, vàdano;
congiuntivo imperf.: andassi ecc. condizionale pres.: andrei, andresti ecc. imperativo pres.: va' (vai), vada, andiamo, andate, vàdano.
participio pres.: andante;
participio pass.: andato.
gerundio pres.: andando.

dare (ausiliare avere)
indicativo pres.: do, dai, dà, diamo, date, danno;
indicativo imperf: davo, davi ecc.; indicativo pass. rem.: dièdi (dètti), désti, diède (dètte), démmo, déste, dièdero (dèttero);
indicativo fut.: darò, darai ecc. congiuntivo pres.: dia, dia, dia, diamo, diate, diano;
congiuntivo imperf: déssi, déssi, désse, déssimo, déste, déssero.
condizionale pres.: darei, daresti ecc. imperativo pres.: da' (dai), dia, diamo, date, diano.

participio pres.: dante (raro); participio pass.: dato. gerundio pres.: dando.

Le forme dètti, dètte, dèttero, formatesi nel Quattrocento sul modello del passato remoto di stare, sono oggi meno usate delle corrispondenti forme diedi, diede, dièdero.

fare (ausiliare avere)
indicativo pres.: faccio (raro fo), fai, fa, facciamo, fate, fanno;
indicativo imperf: facevo, facevi ecc.; indicativo pass. rem.: féci, facesti, féce, facemmo, faceste, fécero;
indicativo fut.: farò, farai ecc.
congiuntivo pres.: faccia, faccia, faccia, facciamo, facciate, fàcciano;
congiuntivo imperf: facessi, facessi, facesse, facéssimo, faceste, facéssero.
condizionale pres.: farei, faresti ecc. imperativo pres.: fa' (fai), faccia, facciamo, fate, fàcciano.
participio pres.: facente;
participio pass.: fatto.
gerundio pres.: facendo.
Come fare si coniugano: assuefare, contraffare, rifare, ecc. Alcuni composti, accanto alle voci che seguono la coniugazione di fare, ne possiedono altre autonome, come disfare che nell'indic. press. ha disfo e dìsfà, e soddisfare che ha forme regolari nell'indic. pres.(soddisfo), nel futuro (soddisferò) e nel congiuntivo pres. (soddisfi).

stare (ausiliare essere)
indicativo pres.: sto, stai, sta, stiamo, state, stanno;
indicativo imperf: stavo, stavi ecc.; indicativo pass. rem.: stètti, stésti, stètte, stémmo, stéste, stèttero;
indicativo fut.: starò, starai ecc. congiuntivo pres.: stia, stia, stia, stiamo, stiate, stiano;
congiuntivo imperf: stéssi, stéssi, stésse, stéssimo, stéste, stéssero.
condizionale pres.: starei, staresti, ecc. imperativo pres.: sta' (stai), stia, stiamo, state, stiano.
participio pres.: stante;
participio pass.: stato.
gerundio pres.: stando.

Si comportano come stare: ristare, soprastare, sottostare. I composti constare, contrastare, costare, prestare, restare, sostare, sovrastare seguono la coniugazione regolare.

Verbi irregolari della seconda coniugazione: -ére, -ere

A) In -ére:

cadére (ausiliare- essere)
indicativo pass. rem.: caddi, cadesti, cadde, cademmo, cadeste, càddero;
indicativo fut.: cadrò, cadrai ecc. condizionale pres.: cadrei, cadresti ecc.
In tutti gli altri tempi segue la coniugazione regolare.

Si comportano come cadére: accadére, decadére, scadére ecc.

dolére (dolérsì) (ausiliare essere)
indicativo pres.: mi dòlgo, ti duòli, si duòle, ci doliamo (dogliamo), vi dolete, si dòlgono; indicativo imperf: mi dolevo, ti dolevi ecc.; indicativo pass. rem.: mi dòlsi, ti dolesti, si dòlse, ci dolemmo, vi doleste, si dòlsero; indicativo fut.: mi dorrò, ti dorrai, si dorrà, ci dorremo, vi dorrete, si dorranno. congiuntivo pres.: mi dòlga, ti dòlga, si dòlga, ci doliamo (dogliamo), vi doliate (dogliate), si dòlgano;
congiuntivo imperf: mi dolessi, ti dolessi ecc.
condizionale pres.: mi dorrei, ti dorresti, si dorrebbe, ci dorremmo, vi dorreste, si dorrèbbero. imperativo pres.: duòliti, si dòlga, dogliamoci (doliamoci), doletevi, si dòlgano. participio pres.: dolente;
participio pass.: doluto (dolutosi). gerundio pres.: dolendo (dolendosi).

dovére (ausiliare avere)
indicativo pres.: dèvo (dèbbo), dèvi, dève, dobbiamo, dovete, dèvono (dèbbono); indicativo imperf.: dovevo, dovevi ecc.; indicativo pass. rem.: dovéi (dovètti), dovesti ecc.;
indicativo fut.: dovrò, dovrai ecc. congiuntivo pres.: dèva (dèbba), dèva, dèva, dobbiamo, dobbiate, dèvano (dèbbano); congiuntivo imperf. dovessi; dovessi ecc. condizionale pres.: dovrei, dovresti ecc. imperativo pres.: (manca).
participio pres.: (manca);
participio pass.: dovuto.
gerundio pres.: dovendo.

giacére (ausiliare avere)
indicativo pres.: giaccio, giaci, giace, giacciamo (giaciamo), giacete, giàcciono; indicativo pass. rem.: giacqui, giacesti, giacque, giacemmo, giaceste, giàcquero.
congiuntivo pres.: giaccia, giaccia, giaccia, giacciamo (giaciamo), giaccia te (giaciate), giàcciano.
imperativo pres.: giaci, giaccia, giacciamo (giaciamo), giacete, giacciàno.

godére (ausiliare avere)
Ha coniugazione regolare in tutti i tempi, tranne per la forma del futuro e del condizionale: godrò; godrei.

parére (ausiliare essere)
indicativo pres.: paio, pari, pare, paiamo, parete, pàiono;
indicativo imperf:: parevo, parevi ecc.; indicativo pass. rem.: parvi, paresti, parve, paremmo, pareste, pàrvero;
indicativo fut.: parrò, parrai, parrà, parremo, parrete, parranno.
congiuntivo pres.: paia, paia, paia, paiamo, paiate, pàiano;
congiuntivo imperf: paressi, paressi ecc. condizionale pres.: parrei, parresti, parrebbe, parremmo, parreste, parrèbbero. imperativo pres.: (manca).
participio pres.: parvente (raro);
participio pass.: parso.
gerundio pres.: parendo.

persuadére (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: persuasi, persuadesti, persuase, persuademmo, persuadeste, persuasero.
participio pass.: persuaso.

Come persuadére si coniuga dissuadére.

piacére (ausiliare essere)
indicativo pres.: piaccio, piaci, piace, piacciamo, piacete, piàcciono;
indicativo pass. rem.: piacqui, piacesti, piacque, piacemmo, piaceste, piàcquero. congiuntivo pres.: piaccia, piaccia, piaccia, piacciamo, piacciate, piàcciano.
imperativo pres.: piaci, piaccia, piacciamo, piacete, piàcciano.

Seguono la coniugazione di piacére: compiacére (compiacersi), dispiacére, spiacére.

potére (ausiliare avere)
indicativo pres.: posso, puoi, può, possiamo, potete, pòssono;
indicativo imperf: potevo, potevi ecc.; indicativo pass. rem.: potéi, potesti ecc.; indicativo fut.: potrò, potrai ecc. congiuntivo pres.: possa, possa, possa, possiamo, possiate, pòssano;
congiuntivo imperf: potessi ecc. condizionale pres.: potrei, potresti ecc. imperativo pres.: (manca).
participio pres.: potente (con valore di aggettivo o sostantivo);
participio pass.: potuto.

rimanére (ausiliare essere)
indicativo pres.: rimango, rimani, rimane, rimaniamo, rimanete, rimàngono; indicativo imperf: rimanevo, rimanevi, ecc.; indicativo pass. rem.: rimasi, rimanesti, rimase, rimanemmo, rimaneste, rimàsero; indicativo fut.: rimarrò, rimarrai ecc. congiuntivo pres.: rimanga, rimanga, rimanga, rimaniamo, rimaniate, rimàngano; congiuntivo imperf: rimanessi ecc. condizionale pres.: rimarrei, rimarresti ecc. imperativo pres.:rimani, rimanga, rimaniamo, rimanete, rimàngano.
participio pres.: rimanente;
participio pass.: rimasto.
gerundio pres.: rimanendo.

sapére (ausiliare avere)
indicativo pres.: so, sai, sa, sappiamo, sapete, sanno;
indicativo imperf: sapevo, sapevi ecc.; indicativo pass. rem.: sèppi, sapesti, sèppe, sapemmo, sapeste, sèppero; indicativo fut.: saprò, saprai ecc. congiuntivo pres.:sappia, sappia, sappia, sappiamo, sappiate, sàppiano; congiuntivo imperf: sapessi ecc. condizionale pres.: saprei, sapresti ecc. imperativo pres.: sappi, sappia, sappiamo, sappiate, sàppiano.
participio pres.: sapiente (con valore di aggettivo o sostantivo); participio pass.: saputo. gerundio pres.: sapendo.

sedére (sedérsi) (ausiliare - essere)
indicativo pres.: sièdo (sèggo), sièdi, siède, sediamo, sedete, sièdono (sèggono). congiuntivo pres.: sièda (sègga), sièda (sègga), sièda (sègga), sediamo, sediate, sièdano (sèggano).
imperativo pres.: sièdi, sièda (sègga), sediamo, sedete, sièdano (sèggano).

Come sedére si coniuga possedére.

tacére (ausiliare - avere)
indicativo pres.: taccio, taci, tace, taciamo, tacete, tàcciono;
indicativo pass. rem.: tacqui, tacesti, tacque, tacemmo, taceste, tàcquero.
congiuntivo pres.: taccia, taccia, taccia, taciamo, taciate, tàcciano.
imperativo pres.: taci, taccia, tacciamo, tacete, tàcciano.

tenére (ausiliare avere)
indicativo pres.: tèngo, tièni, tiène, teniamo, tenete, tèngono;
indicativo imperf: tenevo, tenevi ecc.; indicativo pass. rem.: ténni, tenesti, ténne, tenemmo, teneste, ténnero;
indicativo fut.: terrò, terrai ecc. congiuntivo pres.: tènga, tènga, tènga, teniamo, teniate, tèngano;
congiuntivo imperf.: tenessi ecc. condizionale pres.: terrei, terresti ecc. imperativo pres.: tièni, tènga, teniamo, tenete, tèngano.
participio pres.: tenente;
participio pass.: tenuto.
gerundio pres.: tenendo.

Tutti i composti seguono la coniugazione di tenére: appartenére, contenére, ottenére, trattenére ecc.

valére (ausiliare essere)
indicativo pres.: valgo, vali, vale, valiamo, 
valete, vàlgono;
indicativo imperf: valevo, valevi ecc.; indicativo pass. rem.: valsi, valesti, valse, valemmo, valeste, vàlsero;
indicativo fut.: varrò, varrai, varrà, varremo, varrete, varranno.
congiuntivo pres.: valga, valga, valga, valiamo, valiate, vàlgano;
congiuntivo imperf: valessi ecc. condizionale pres.: varrei, varresti, varrebbe, varremmo, varreste, varrèbbero. imperativo pres.: vali, valga, valiamo, valete, vàlgano.
participio pres.: valente;
participio pass.: valso.
gerundio pres.: valendo.

Si comportano come valére tutti i suoi composti: equivalére, prevalére, rivalérsi ecc.

vedére (ausiliare - avere)
indicativo pres.: védo, védi ecc.;
indicativo imperf.: vedevo, vedevi ecc.; indicativo pass. rem.: vidi, vedesti, vide, vedemmo, vedeste, videro;
indicativo fut.: vedrò, vedrai ecc. condizionale pres.: vedrei, vedresti, ecc. imperativo pres.: védi, véda, vediamo, vedete, védano.
participio pres: vedente;
participio pass.: visto (veduto).
gerundio pres.: vedendo.

I composti di vedére (avvedérsi, intravedére ecc.) seguono la sua coniugazione, ma prevedére e provvedére al futuro e al condizionale hanno la forma non sincopata (prevederò, provvederei ecc.).

volére (ausiliare avere)
indicativo pres.: vòglio, vuòi, vuòle, vogliamo, volete, vògliono;
indicativo imperf.: volevo, volevi ecc.; indicativo pass. rem.: vòlli, volesti, vòlle, volemmo, voleste, vòllero;
indicativo fut.: vorrò, vorrai, vorrà, vorremo, vorrete, vorranno.
congiuntivo pres.: vòglia, vòglia, vòglia, vo
gliamo, vogliate, vògliano;
congiuntivo imperf: volessi ecc. condizionale pres.: vorrei, vorresti, vorrebbe, vorremmo, vorreste, vorrèbbero. imperativo pres.: vògli, vòglia, vogliamo, vogliate, vògliano.
participio pres.: volente;
participio pass.: voluto.
gerundio pres.: volendo.

B) In -ere

accèndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: accési, accendesti, accése, accendemmo, accendeste, accésero.participio pass.: accéso.

acclùdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: acclusi, accludesti, accluse, accludemmo, accludeste, acclùsero.participio pass.: accluso.

Come accludere si coniugano: escludere, includere, occludere, precludere.

accòrgersi (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: mi accorsi, ti accorgesti, si accòrse, ci accorgemmo, vi accorgeste, si accòrsero.
participio pass.: accòrtosi.

affliggere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: afflissi, affliggesti, afflisse, affliggemmo, affliggeste, afflissero. participio pass.: afflitto.
Come afflìggere si coniuga inflìggere.

allùdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: allusi, alludesti, alluse, alludemmo, alludeste, allùsero. participio pass.: alluso.

Come allùdere si coniugano: deludere, disilludere, elùdere, illudere, prelùdere.

annèttere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: annettéi (annèssi), annettesti, annetté (annèsse), annettemmo, annetteste, annettérono (annèssero). participio pass.: annèsso.

Come annèttere si coniugano: riannèttere, riconnèttere, sconnèttere.

appèndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: appési, appendesti, appése, appendemmo, appendeste, appésero.
participio pass.: appéso.

Come appèndere si coniugano: dipèndere, sospèndere, vilipèndere.

àrdere (ausiliare avere se è usato transitivamente, essere se è usato intransitivamente)
indicativo pass. rem.: arsi, ardesti, arse, ardemmo, ardeste, àrsero.
participio pass.: arso.

assòlvere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: assòlsi, assolvesti, assòlse, assolvemmo, assolveste, assòlsero.participio pass.: assòlto.

Come assòlvere si coniugano: dissòlvere e risòlvere.

assùmere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: assunsi, assumesti, assunse, assumemmo, assumeste, assùnsero. participio pass.: assunto.
Come assùmere si coniugano: riassùmere, desùmere, presumere.

attìngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: attinsi, attingesti, attinse, attingemmo, attingeste. attìnsero.participio pass.: attinto.

bére (ausiliare avere)
indicativo pres.: bévo, bévi, béve, beviamo, bevete, bévono;
indicativo imperf: bevevo, bevevi ecc.; indicativo pass. rem.: bévvi (bevéi, bevètti) , bevesti, bévve (bevé, bevètte), bevemmo, beveste, bévvero (bevérono, bevèttero);
indicativo fut.: berrò, berrai ecc. congiuntivo pres.: béva, béva ecc.; congiuntivo imperf.bevessi ecc. condizionale pres.: berrei, berresti ecc. imperativo pres.: bévi, béva, beviamo, bevete, bévano.
participio pres.: bevente;
participio pass.: bevuto.
gerundio pres.: bevendo.

Bére è la forma sincopata di bévere.

chièdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: chièsi, chiedesti, chièse, chiedemmo, chiedeste, chièsero.participio pass.: chièsto.

chiudere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: chiusi, chiudesti, chiuse, chiudemmo, chiudeste, chiùsero. participio pass.: chiuso.

Si comportano come chiùdere: dischiùdere, richiùdere, socchiùdere ecc.

fingere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: cinsi, cingesti, cinse, cingemmo, cingeste, cinsero. participio pass.: cinto.

Come fingere si coniugano: accingersi, recingere ecc.

cògliere (ausiliare avere)
indicativo pres.: còlgo, cògli, còglie, cogliamo, cogliete, còlgono;
indicativo imperf.: coglievo, coglievi ecc.. indicativo pass. rem.: còlsi, cogliesti, còlse, cogliemmo, coglieste, còlsero;
indicativo fut.: coglierò, coglierai ecc. congiuntivo pres.: còlga, còlga, còlga, cogliamo, cogliate, còlgano;
congiuntivo imperf.: cogliessi ecc. condizionale pres.: coglierei, coglieresti ecc. imperativo pres.: cògli, còlga, cogliamo, cogliete, còlgano.
participio pres.: cogliente;
participio pass.: còlto.
gerundio pres.: cogliendo.

Come cògliere si coniugano: accògliere e raccògliere.

comprìmere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: comprèssi, comprimesti, comprèsse, comprimemmo, comprimeste, comprèssero.
participio pass.: comprèsso.

Come comprimere si coniugano: deprimere, esprimere, imprimere, opprimere, reprimere, sopprimere.

concèdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: concèssi, concedesti, concèsse, concedemmo, concedeste, concèssero.
participio pass.: concèsso.

condurre (ausiliare avere)
indicativo pres.: conduco, conduci, conduce, conduciamo, conducete, condùcono;
indicativo imperf.: conducevo, conducevi ecc.; indicativo pass. rem.: condussi, conducesti, condusse, conducemmo, conduceste, condùssero;
indicativo fut.: condurrò, condurrai, condurrà, condurremo, condurrete, condurranno.congiuntivo pres.: conduca, conduca, conduca, conduciamo, conduciate, condùcano; congiuntivo imperf.: conducessi ecc. condizionale pres.: condurrei, condurresti, condurrebbe, condurremmo, condurreste, condurrèbbero.
imperativo pres.: conduci, conduca, conduciamo, conducete, condùcano. participio pres.: conducente;
participio pass.: condotto.
gerundio pres.: conducendo.

Condurre è la forma sincopata di condùcere. Seguono la coniugazione di condurre: addurre, dedurre, introdurre, produrre, ridurre, sedurre, tradurre.

conoscere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: conobbi, conoscesti, conobbe, conoscemmo, conosceste, conobbero. participio pass.: conosciuto.


Come conoscere si coniuga riconoscere.

contùndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: contusi, contundesti, contuse, contundemmo, contundeste, contùsero.
participio pass.: contuso.

convèrgere (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: convèrsi, convergesti, convèrse, convergemmo, convergeste, convèrsero.
participio pass.: convèrso (raro).

Come convèrgere si coniuga: divèrgere, che però manca del participio passato.

correre (ausiliare avere o essere)
indicativo pass. rem.: corsi, corresti, corse, corremmo, correste, còrsero. participio pass.: corso.

Tutti i composti si coniugano come còrrere: accorrere, percorrere, soccorrere, ecc.

créscere (ausiliare essere; solo nei casi in cui è usato transitivamente assume l'ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: crébbi, crescesti, crébbe, crescemmo, cresceste, crébbero.participio pass.: cresciuto.

Come créscere si coniugano: accréscere, decréscere, incréscere, rincréscere.

cuòcere (ausiliare avere)
indicativo pres.: cuòcio, cuòci, cuòce, cociamo (cuociamo), cocete (cuocete), cuòciono;
indicativo imperf:: cocevo (cuocevo), cocevi (cuocevi) ecc.;
indicativo pass. rem.: còssi, còsse, cocesti (cuocesti), cocemmo (cuocemmo), coceste (cuoceste), cuocemmo, còssero;
indicativo imperf.: cocerò (cuocerò), cocerai (cuocerai) ecc.
congiuntivo pres.: cuòcia, cuòcia, cuòcia, cociamo (cuociamo), cociate (cuociate), cuòciano;
congiuntivo imperf: cocessi (cuocessi) ecc. condizionale pres.: cocerei (cuocerei), coceresti (cuoceresti) ecc.
imperativo pres.: cuòci, cuòcia, cociamo (cuociamo), cocete (cuocete), cuòciano.participio pres.: cocente;
participio pass.: còtto (cociuto, raro). gerundio pres.: cocendo (cuocendo).

Sono molto usate e anzi tendono a prevalere le forme che conservano il dittongo: cuociamo, cuocevo, cuocerò, cuocessi, cuocerei ecc.

decìdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: decisi, decidesti, decise, decidemmo, decideste, decìsero. participio pass.: deciso.

Come decidere si coniugano: incidere, coincìdere, circoncidere, recidere, uccidere.

devòlvere (ausiliare avere)
È irregolare solo il participio pass.: devoluto.

Come devòlvere si comporta evòlvere.

difèndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: difési, difendesti, difése, difendemmo, difendeste, difésero.participio pass.: diféso.

diligere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: dilèssi, diligesti, dilèsse, diligemmo, diligeste, dilèssero. participio pass.: dilètto (raro).

dipìngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: dipinsi, dipingesti, dipinse, dipingemmo, dipingeste, dipinsero. participio pass.: dipinto.

dirìgere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: dirèssi, dirigesti, dirèsse, dirigemmo, dirigeste, dirèssero.participio pass.: dirètto.


Come dirìgere si coniuga erìgere.

discùtere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: discussi, discutesti, discusse, discutemmo, discuteste, discùssero.participio pass.: discusso.

Come discùtere si coniuga incùtere.

distinguere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: distinsi, distinguesti, distinse, distinguemmo, distingueste, distinsero.
participio pass.: distinto.

Come distinguere si coniuga estinguere.

dividere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: divisi, dividesti, divise, dividemmo, divideste, divisero. participio pass.: diviso.

Come dividere si coniugano: condividere, suddividere.

eccèllere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: eccèlsi, eccellesti, eccèlse, eccellemmo, eccelleste, eccèlsero.participio pass.: eccèlso.

elìdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: elisi, elidesti, elise, elidemmo, elideste, elìsero. participio pass.:eliso.

Nel pass. rem. ha anche le forme regolari (elidéi ecc).

emèrgere (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: emèrsi, emergesti, emèrse, emergemmo, emergeste, emèrsero.participio pass.: emèrso.

Come emèrgere si coniugano: immèrgere e sommèrgere.

esistere (ausiliare essere)
È irregolare solo il participio passato: esistito.

Come esìstere si coniugano: assistere, desìstere, resistere.

espèllere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: espulsi, espellesti, espulse, espellemmo, espelleste, espùlsero.participio pass.: espulso.

esplodere (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: esplosi, esplodesti, esplose, esplodemmo, esplodeste, esplosero. participio pass.: esploso.

estinguere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: estinsi, estinguesti, estinse, estinguemmo, estingueste, estinsero. participio pass.: estinto.

evàdere (ausiliare avere o essere)
indicativo pass. rem.: evasi, evadesti, evase, evademmo, evadeste, evàsero.
participio pass.: evaso.

figgere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: fissi, figgesti, fisse, fìggemmo, figgeste, fìssero. participio pass.: fitto.

Alcuni composti hanno il participio pass. in -itto: configgere (confitto), sconfiggere (sconfiggere), trafiggere (trafitto). Altri, invece, lo hanno in -isso: affliggere (affisso), crocifiggere (crocifisso), infiggere (infìsso), prefiggere (prefisso).

fingere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: finsi, tìngesti, finse, fingemmo, fingeste, finsero. participio pass.:finto.

flèttere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: flettéi (flèssi), flettesti, fletté (flèsse), flettemmo, fletteste, flettérono (flèssero).
participio pass.: flèsso.

Come flèttere si coniugano: genuflèttere, riflèttere.

fondere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: fusi, fondesti, fuse, fondemmo, fondeste, fùsero.
participio pass.: fuso.

Come fondere si coniugano: confondere, diffondere, infondere, ecc.

fràngere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: fransi, frangesti, franse, frangemmo, frangeste, frànsero. participio pass.: franto.

Come fràngere si coniuga infràngere.

friggere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: frissi, friggesti, frisse, friggemmo, friggeste, frìssero. participio pass.: fritto.

fungere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: funsi, fungesti, funse, fungemmo, fungeste, fùnsero. participio pass.: funto (raro).

giùngere (ausiliare - essere)
indicativo pass. rem.: giunsi, giungesti, giunse, giungemmo, giungeste, giùnsero. participio pass.: giunto.

Come giùngere si coniugano: aggiùngere, raggiùngere, soggiùngere, ecc.

indùlgere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: indulsi, indulgesti, indulse, indulgemmo, indulgeste, indùlsero.participio pass.: indulto (raro).

intrìdere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: intrisi, intridesti, intrisese, intridemmo, intrideste, intrìsero.participio pass.: intriso.
indicativo pass. rem.: intrusi, intrudesti, intruse, intrudemmo, intrudeste, intrùsero.participio pass.: intruso.

invàdere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: invasi, invadesti, invase, invademmo, invadeste, invàsero.participio pass.: invaso.

Come invàdere si coniugano: evàdere e pervàdere.

lèdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: lési, ledesti, lése, ledemmo, ledeste, lésero. participio pass.: léso.

lèggere (ausiliare - avere)
indicativo pass. rem.: lèssi, leggesti, lèsse, leggemmo, leggeste, lèssero. participio pass.: lètto.

Come leggere si coniugano: eleggere, rilèggere.

méttere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: misi, mettesti, mise, mettemmo, metteste, misero. participio pass.: mésso.

Come méttere si coniugano: amméttere, ométtere, perméttere, trasméttere ecc.

mìngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: minsi, mingesti, minse, mingemmo, mingeste, minsero.
Non sono usati il participio pass. e i tempi composti.

mòrdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: mòrsi, mordesti, morse, mordemmo, mordeste, mòrsero. participio pass.: mòrso.

mingere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: munsi, mungesti, munse, mungemmo, mungeste, mùnsero.participio pass.: munto.

muòvere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: mòssi, movesti (muovesti), mòsse, movemmo (muovemmo), moveste (muoveste), mòssero.
participio pass.: mòsso.

Nelle voci verbali in cui l'accento cade sulla desinenza sono frequenti, accanto alle forme senza dittongo, anche le forme col dittongo (moviamo o muoviamo, movevo o muovevo, moverei o muoverei ecc.). Come muòvere si coniugano: commuòvere, prumuòvere, smuòvere ecc.

nàscere (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: nacqui, nascesti, nacque, nascemmo, nasceste, nàcquero. participio pass.: nato.

nascondere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: nascosi, nascondesti, nascose, nascondemmo, nascondeste, nascosero.
participio pass.: nascosto.

negligere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: neglèssi, negligesti, neglèsse, negligemmo. negligeste, neglèssero.
participio pass.: neglètto.

Passato remoto e participio passato sono di uso letterario. Il verbo è inoltre difettivo di indicativo e congiuntivo presenti e di imperativo.

nuòcere (ausiliare avere)
indicativo pres.: noccio (nuòccio), nuoci, nuoce, nociamo (nuociamo), nocete (nuocete), nòcciono (nuòcciono);
indicativo imperf: nocevo (nuocevo), nocevi (nuocevi) ecc.;
indicativo pass. rem.: nòcqui, nocesti (nuocesti), nòcque, nocemmo (nuocemmo). noceste (nuoceste), nòcquero;
indicativo fut.: nocerò (nuocerò), nocerai (nuocerai) ecc.
congiuntivo pres.: nòccia (nuòccia), nòccia (nuòccia), nòccia (nuòccia), nociamo (nuociamo), nociate (nuociate), nòcciano (nuòcciano);
congiuntivo imperf: nocessi (nuocessi) ecc. condizionale pres.: nocerei (nuocerei), noce resti (nuoceresti) ecc.
imperativo pres.: nuoci, nòccia (nuòccia), 
nociamo (nuociamo), nocete (nuocete), nocciano (nuòcciano).
participio pres.: nocente (nuocente); participio pass.: nociuto (nuociuto). gerundio pres.: nocendo (nuocendo).

Sono molto frequenti nell'uso le forme col dittongo (nuoccio, nuocevo, nuocerò ecc.).

pèrdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: pèrsi (perdéi, perdètti), perdesti, pèrse (perdé, perdètte), perdemmo, perdeste, pèrsero (perdérono, perdèttero).
participio pass.: pèrso (perduto).

Come Pèrdere si coniugano: spèrdere, disperdere.

piàngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: piansi, piangesti, pianse, piangemmo, piangeste, piànsero. participio pass.: pianto.

Come piàngere si coniugano: compiàngere, rimpiàngere.

piòvere (ausiliare essere o avere)
indicativo pass. rem.: piòvvi, piovesti, piòvve, piovemmo, pioveste, piòvvero. participio pass.: piovuto.

Come gli altri verbi che indicano fenomeni atmosferici (diluviare, grandinare, nevicare ecc.), è per lo più usato impersonalmente.

pòrgere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: pòrsi, porgesti, porse, porgemmo, porgeste, porsero. participio pass.: porto.

Come pòrgere si coniuga spòrgere.

porre (ausiliare avere)
indicativo pres.: pongo, poni, pone, poniamo, ponete, pongono;
indicativo imperf: ponevo, ponevi ecc.; indicativo pass. rem.: posi, ponesti, pose, ponemmo, poneste, posero;
indicativo fut.: porrò, porrai ecc. congiuntivo pres.: ponga, ponga, ponga, poniamo, poniate, pongano;
congiuntivo imperf: ponessi ecc. condizionale pres.: porrei, porresti ecc. imperativo pres.: poni, ponga, poniamo, ponete, pongano.
participio pres.: ponente;
participio pass.: posto.
gerundio pres.: ponendo.

Porre è la forma sincopata di ponere. Si coniugano come porre: anteporre, deporre, opporre, supporre ecc.

prèndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: prési, prendesti, prese, prendemmo, prendeste, présero. participio pass.: préso.

Come prendere si coniugano: apprendere, riprendere, sorprendere ecc.

propendere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: propendei (propéso, propendesti, propendé (propése), propendemmo, propendeste, propendérono (propésero).
participio pass.: propènso.

protèggere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: protèssi, proteggesti, protèsse, proteggemmo, proteggeste, protèssero.
participio pass.: protètto.

pùngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: punsi, pungesti, punse, pungemmo, pungeste, punsero. participio pass.: punto.

Come pùngere si coniugano: compùngere, espùngere, trapùngere.

ràdere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: rasi, radesti, rase, rademmo, radeste, ràsero.
participio pass.: raso.

redigere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: redassi (redigéi, redigètti), redigesti, redasse (redigé, redigètte), redigemmo, redigeste, redàssero (redigérono, redigèttero).
participio pass.: redatto.

redìmere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: redènsi, redimesti, redènse, redimemmo, redimeste, redènsero.participio pass.: redènto.

règgere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: rèssi, reggesti, resse, reggemmo, reggeste, rèssero. participio pass.: rètto.

Come reggere si coniugano: correggere, sorreggere.

rèndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: rési, rendesti, rése, rendemmo, rendeste, résero. participio pass.:réso.

Come rendere si coniuga arrèndersi.

ridere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: risi, ridesti, rise, ridemmo, rideste, risero. participio pass.: riso.

rifùlgere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: rifulsi, rifulgesti, rifulse, rifulgemmo, rifulgeste, rifùlsero. participio pass.: rifulso.

rispondere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: risposi, rispondesti, rispose, rispondemmo, rispondeste, risposero.
participio pass.: risposto.


Come rispondere si coniuga corrispondere.

rodere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: rosi, rodesti, rose, rodemmo, rodeste, rosero.
participio pass.: roso.

Come rodere si coniuga corrodere.

rompere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: ruppi, rompesti, ruppe, rompemmo, rompeste, rùppero. participio pass.: rotto.

Come rompere si coniugano: corrompere, interrompere, irrompere, prorompere.

scégliere (ausiliare avere)
indicativo pres.: scélgo, scégli, scéglie, scegliamo, scegliete, scélgono;
indicativo imperf: sceglievo, sceglievi ecc.; indicativo pass. rem.: scélsi, scegliesti, scélse, scegliemmo, sceglieste, scélsero; indicativo fut.: sceglierò, sceglierai ecc. congiuntivo pres.: scélga, scélga, scélga, scegliamo, scegliate, scélgano;
congiuntivo imperf: scegliessi ecc. condizionale pres.: sceglierei, sceglieresti ecc. 
imperativo pres.: scégli, scélga, scegliete, scélgano.
participio pres.: scegliente; participio pass.: scélto.
gerundio pres.: scegliendo.

Come scégliere si coniugano: prescégliere, trascégliere.

scéndere (ausiliare essere; quando è usato transitivamente assume l'ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: scési, scendesti, scése, scendemmo, scendeste, scésero.
participio pass.: scéso.

Come scéndere si coniugano: ascéndere. discéndere, trascéndere ecc.

scìndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: scissi, scindesti, scisse, scindemmo, scindeste, scissero. participio pass.: scisso.

Come scindere si coniuga rescìndere.

sciògliere (ausiliare avere)
indicativo pres.: 
sciòlgo, sciògli, sciòglie, sciogliamo, sciogliete, sciòlgono;
indicativo imperf: scioglievo, scioglievi ecc.; indicativo pass. rem.: sciòlsi, sciogliesti, sciòlte, sciogliemmo, scioglieste, sciòlsero; indicativo.fut.: scioglierò, scioglierai ecc. congiuntivo pres.: sciòlga, sciòlga, sciòlga, sciogliamo, sciogliate, sciòlgano; congiuntivo imperf: sciogliessi ecc. condizionale pres.: scioglierei, scioglieresti ecc.
imperativo pres.: sciògli, sciòlga, sciogliamo, sciogliete, sciòlgano.
participio pres.: sciogliente;
participio pass.: sciòlto.
gerundio pres.: sciogliendo.

Come sciògliere si coniugano: disciògliere, prosciògliere.

scrìvere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: scrissi, scrivesti, scrisse, scrivemmo, scriveste, scrìssero. participio pass.: scritto.

Come scrìvere si coniugano: descrivere, prescriuere, trascrivere ecc.

scuòtere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: scòssi, scotesti (scuotesti), scòsse, scotemmo (scuotemmo), scoteste (scuoteste), scòssero.
participio pass.: scòsso.

Nelle voci verbali in cui l'accento cade sulla desinenza sono frequenti, accanto alle forme senza dittongo, anche le forme col dittongo (scotiamo o scuotiamo, scotevo o scuotevo ecc.). Come scuòtere si coniugano: percuòtere e riscuòtere.

sorgere (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: sorsi, sorgesti, sorse, sorgemmo, sorgeste, sorsero.
participio pass.: sorto.

Come sorgere si coniugano: insorgere, risorgere.

spàndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: spansi (spandéi, spandètti) , spandesti, spanse (spandé, spandètte), spandemmo, spandeste, spànsero (spandérono, spandèttero).
participio pass.: spanso.

Nel pass. rem. sono più comuni le forme regolari: spandéi ecc. Come spàndere si coniuga espàndere.

spèngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: spènsi, spengesti, spènse, spengemmo, spengeste, spènsero.participio pass.: spènto.

Fuori della Toscana è più comune la variante spègnere che prende le forme di spèngere nel participio pass. e in alcune voci dell'indicativo pres. (spèngo, spèngono), del pass. rem. (spènsi, spènse, spènsero) , del congiuntivo preso (spènga, spèngano); in tutte le altre forme si coniuga con la radice spegn- (spègni, spègne, spegniàmo, spegnéte; spegnésti, spegnémmo, spegnéste; spegniàmo, .spegniàte; spegnévo, spegnerò, spegnerèi, spegnéssi ecc.).

spingere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: spinsi, spingesti, spinse, spingemmo, spingeste, spinsero. participio pass: spinto.

strìngere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: strinsi, stringesti, strinse, stringemmo, stringeste, strinsero.participio pass.: strétto.

Come stringere si coniugano: astrìngere, costringere, restringere e ristringere.

strùggere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: strussi, struggesti, strusse, struggemmo, struggeste, strussero. participio pass.: strutto.

Come struggere si coniuga distruggere.

succèdere (ausiliare essere)
indicativo pass. rem.: succedetti (succèsso, succedesti, succedette (succèsse), succedemmo, succedeste, succedéttero (succèssero). participio pass.: succeduto (succèsso).

Nella norma attuale si tende a usare le forme deboli del passato remoto e del participio passato (succedette, succeduto) quando il verbo ricorre nell'accezione di 'subentrare', le forme forti (successe, successo) quando il verbo ricorre nell'accezione di 'accadere'.

svèllere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: svèlsi, svellesti, svèlse, svellemmo, svelleste, svèlsero. participio pass.: svèlto.

All'indicativo pres. ha anche le forme svèlgo, svèlgono, e al congiuntivo pres. svèlga, svèlgano. Come svèllere si coniuga divèllere.

tèndere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.:
 tési, tendesti, tése, tendemmo, tendeste, tésero. participio pass.:téso.

Come tèndere si coniugano: attèndere, estèndere, protèndere, stèndere ecc.

tèrgere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: tèrsi, tergesti, tèrse, tergemmo, tergeste, tèrsero. participio pass.: tèrso.

Come tèrgere si coniuga detèrgere.

tingere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: tinsi, tingesti, tinse, tingemmo, tingeste, tinsero. participio pass.:tinto.

Come tingere si coniugano: intingere e ritingere.

tògliere (ausiliare avere)
indicativo pres.: tòlgo, tògli, tòglie, togliamo, togliete, tòlgono;
indicativo imperf.: toglievo, toglievi ecc.; indicativo pass. rem.: tòlsi, togliesti, tòlse, togliemmo, toglieste, tòlsero;
indicativo fut.: toglierò, toglierai ecc. congiuntivo pres.: tòlga, tòlga, tòlga, togliamo, togliate, tòlgano;
congiuntivo imperf: togliessi ecc. condizionale pres.: toglierei, toglieresti ecc. imperativo pres.: tògli, tòlga, togliamo, togliete, tòlgano.
participio pres.: togliente;
participio pass.: tòlto.
gerundio pres.: togliendo.

Come tògliere si coniuga distògliere.

tòrcere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: tòrsi, torcesti, tòrse, torcemmo, torceste, tòrsero. participio pass.:tòrto.

Come tòrcere si coniugano attòrcere, contòrcere, distòrcere, estòrcere, ritòrcere, stòrcere.

trarre (ausiliare averè)
indicativo pres.: traggo, trai, trae, traiamo, traete, tràggono;
indicativo imperf: traevo, traevi ecc.; indicativo pass. rem.: trassi, traesti, trasse, traemmo, traeste, tràssero;
indicativo fut.: trarrò, trarrai ecc. congiuntivo pres.: tragga, tragga, tragga, traiamo, traiate, tràggano;
congiuntivo imperf.: traessi ecc. condizionale pres.: trarrei, trarresti ecc. imperativo pres.: trai, tragga, traiamo, traete, tràggano.
participio pres.: traente; participio pass.: tratto. gerundio pres.: traendo.

Trarre è forma sincopata di tràere. Come tràrre si coniugano: astràrre, contràrre, protràrre ecc.

Ungere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: unsi,ungesti, unse, ungemmo, ungeste, unsero. participio pass.:unto.

vincere (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: vinsi, vincesti, vinse, vincemmo, vinceste, vinsero. participio pass.: vinto.

Come vìncere si coniugano: avvincere, convincere.

vìvere (ausiliare essere; quando è usato transitivamente assume l'ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: vissi, vivesti, visse, vivemmo, viveste, vissero;
indicativo fut.: vivrò, vivrai ecc. condizionale pres.: vivrei, vivresti ecc. participio pass.:vissuto.

Come vìvere si coniugano: convìvere, sopravvivere.

vòlgere (ausiliare auere)
indicativo pass. rem.: vòlsi, volgesti, volse, volgemmo, volgeste, vòlsero. participio pass.: vòlto.

Come volgere si coniugano: avvòlgere, invòlgere, rivòlgere, sconvolgere, travolgere ecc.

Verbi irregolari della terza coniugazione: -ire


apparire
 (ausiliare essere)indicativo pres.: appaio, appari, appare, appariamo, apparite, appàiono;
indicativo imperf: apparivo, apparivi ecc.;
indicativo pass. rem.: apparvi, apparisti, apparve, apparimmo, appariste, appàrvero;indicativo fut.: apparirò, apparirai ecc. congiuntivo pres.: appaia, appaia, appaia, appariamo, appariate, appàiano; congiuntivo imperf: apparissi ecc. condizionale pres.:apparirei, appariresti ecc.
imperativo pres.: appari, appaia, apparite, appàiano.
participio pres.: apparente; participio pass.: apparso. gerundio pres.: apparendo.

aprire (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: apèrsi (aprii), apristi, apèrse (aprì), aprimmo, apriste, apèrsero (aprirono).
apèrto.

Come aprire si coniugano: coprire, ricoprire, riscoprire, scoprire.

dire (ausiliare avere)
indicativo pres.: dico, dici, dice, diciamo, dite, dicono;
indicativo imperf: dicevo, dicevi eèc.; indicativo pass. rem.: dissi, dicesti, disse, dicemmo, diceste, dissero;
indicativo fut.: dirò, dirai ecc.
congiuntivo pres.: dica, dica, dica, diciamo, diciate, dicano;
congiuntivo imperf: dicessi ecc. condizionale pres.: direi, diresti ecc. imperativo pres.:di', dica, diciamo, dite, dicano.
participio pres.: dicente;
participio pass.: detto.
gerundio pres.: dicendo.

Dire è la forma sincopata di dìcere. Come dire si coniugano: benedire, contraddire, disdire, maledire, predire, ridire (ma nell'imperativo: benedici, contraddici, maledici).

inferìre (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: inferii (infèrsi), inferisti, inferi (infèrse), inferimmo, inferiste, inferìrono (infèrsero).
participio pass.: inferito (infèrto).

Le forme deboli del passato remoto e del participio passato (infèrii) si usano quando il verbo ricorre nell'accezione di 'dedurre, argomentare' (la giuria ha inferito dalle prove la colpevolezza dell'imputato), le forme forti (infèrse) quando il verbo ricorre nell'accezione di 'cagionare, infliggere' (l'operazione di polizia ha infèrto un duro colpo alla delinquenza organizzata).

morire (ausiliare essere)
indicativo pres.: muòio, muòri, muòre, moriamo, morite, muòiono;
indicativo imperf: morivo, morivi ecc.; indicativo pass. rem.: morii, moristi ecc.;indicativo fut.: morrò, morrai (morirò, morirai) ecc.
congiuntivo pres.: muòia, muòia, muòia, moriamo, moriate, muòiano;
congiuntivo imperf: morissi ecc. condizionale pres.: morrei, morresti (morirei, moriresti) ecc.
imperativo pres.: muòri, muòia, moriamo, morite, muòiano.
participio pres.: morente;
participio pass.: mòrto.
gerundio pres.: morendo.

offrire (ausiliare avere)
indicativo pass. rem.: offèrsi (offrii), offristi, offèrse (offri), ofhimmo, offriste, offèrsero (offrìrono).
participio pres: offerente;
participio pass.: offèrto.

salire (ausiliare essere; quando è usato transitivamente assume l'ausiliare avere)
indicativo pres.: salgo, sali, sale, saliamo, salite, sàlgono.
congiuntivo pres.: salga, salga, salga, saliamo, saliate, sàlgano.
imperativo pres.: sali, salga, saliamo, salite, sàlgano.

udire (ausiliare avere)
indicativo pres.: òdo, òdi, òde, udiamo, udite, òdono;

indicativo imperf: udivo, udivi ecc.; indicativo pass. rem.: udii, udisti ecc.; indicativo fut.: udirò, udirai (udrò, udrai) ecc. congiuntivo pres.: òda, òda, òda, udiamo, udiate, òdano;
congiuntivo imperf: udissi ecc. condizionale pres.: udirei, udiresti (udrei, udresti) ecc.
imperativo pres.: òdi, òda, udiamo, udite, òdano.
participio pres.: udente o udiente (rari); participio pass.: udito.
gerundio pres.: udendo.

uscire (ausiliare essere)
indicativo pres.: èsco, èsci, èsce, usciamo, uscite, èscono.
congiuntivo pres.: èsca, èsca, èsca, usciamo, usciate, èscano.
imperativo pres.: èsci, èsca, usciamo, uscite, èscano.

Le forme con la e (che sono tutte quelle accentate sulla radice) derivano dalla variante non comune escire. Come uscire si coniuga riuscire.

venire (ausiliare essere)
indicativo pres.: vèngo, vièni, viène, veniamo, venite, vèngono;
indicativo imperf: venivo, venivi ecc.; indicativo pass. rem.: vénni, venisti, vénne, venimmo, veniste, vénnero;
indicativo fut.: verrò, verrai ecc. congiuntivo pres.: vènga, vènga, vènga, veniamo, veniate, vèngano;
congiuntivo imperf: venissi ecc. condizionale pres.: verrei, verresti ecc. imperativo pres.: vièni, vènga, veniamo, venite, vèngano.
participio pres.: veniente;
participio pass.: venuto.
gerundio pres.: venendo.

Come venire si coniugano: avvenire, convenire, divenire, provenire ecc.

La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci

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La rabbia e l'orgoglio è un lunghissimo e celebre articolo di Oriana Fallaci, apparso sul quotidiano Il Corriere della Sera il 29 settembre 2001 in seguito all'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001.

In seguito, una versione estesa dell'articolo è diventato il primo libro de "La Trilogia di Oriana Fallaci" (gli altri due sono La forza della ragione e Oriana Fallaci intervista sé stessa - L'Apocalisse), che ha avuto uno straordinario successo in tutto il mondo, vendendo milioni di copie e segnando il ritorno di Oriana Fallaci sulla scena internazionale dopo un silenzio lungo dieci anni.

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  • Oriana Fallaci
  • Editore: Rizzoli International
  • Edizione n. 0 (12/14/2004)
  • Copertina rigida: 764 pagine

Qui riportiamo il testo completo dell'articolo.

La rabbia e l'orgoglio: testo completo

(Oriana Fallaci - Corriere della Sera, sabato 29 settembre 2001)

Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. "Vittoria! Vittoria!". Uomini, donne, bambini.

Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: "Bene. Agli americani gli sta bene".

E sono molto molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso.

Arrabbiata come me, la poetessa afro-americana Maya Angelou ieri ha ruggito: "Be angry. It's good to be angry, it's healthy. Siate arrabbiati. Fa bene essere arrabbiati. È sano". E se a me fa bene io non lo so. Però so che non farà bene a loro, intendo dire a chi ammira gli Usama Bin Laden, a chi gli esprime comprensione o simpatia o solidarietà.

Hai acceso un detonatore che da troppo tempo ha voglia di scoppiare, con la tua richiesta. Vedrai. Mi chiedi anche di raccontare come l'ho vissuta io, quest'Apocalisse. Di fornire insomma la mia testimonianza. Incomincerò dunque da quella. Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d'un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: "Down! Get down! Giù! Buttati giù".

L'ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001.

Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè, l'audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero.

Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull'obiettivo, si getta sull'obiettivo.

Sicché ho capito. Ho capito anche perché nello stesso momento l'audio è tornato e ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. "God! Oh, God! Oh, God, God, God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio! Dio, Dio, Dioooooooo!" E l'aereo s'è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro. Erano le 9 e un quarto, ora. E non chiedermi che cosa ho provato durante quei quindici minuti. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio.

Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute, e venivano giù così lentamente.

Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell'aria. Sì, sembravano nuotare nell'aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero.

Infine cadevano a sasso e paf! Sai, io credevo d'aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l'ho mai vista la gente che muore ammazzandosi cioè buttandosi senza paracadute dalle finestre d'un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Alle guerre, inoltre, ho sempre visto roba che scoppia. Che esplode a ventaglio. E ho sempre udito un gran fracasso.

Quelle due torri, invece, non sono esplose. La prima è implosa, ha inghiottito se stessa. La seconda s'è fusa, s'è sciolta. Per il calore s'è sciolta proprio come un panetto di burro messo sul fuoco. E tutto è avvenuto, o m'è parso, in un silenzio di tomba. Possibile? C'era davvero, quel silenzio, o era dentro di me? Devo anche dirti che alle guerre io ho sempre visto un numero limitato di morti. Ogni combattimento, duecento o trecento morti. Al massimo, quattrocento. Come a Dak To, in Vietnam. E quando il combattimento è finito, gli americani si son messi a raccattarli, contarli, non credevo ai miei occhi. Nella strage di Mexico City, quella dove anch'io mi beccai un bel po' di pallottole, di morti ne raccolsero almeno ottocento. E quando credendomi morta mi scaraventarono nell'obitorio, i cadaveri che presto mi ritrovai intorno e addosso mi sembrarono un diluvio. Bè, nelle due torri lavoravano quasi cinquantamila persone.

E ben pochi hanno fatto in tempo ad evacuare. Gli ascensori non funzionavano più, ovvio, e per scendere a piedi dagli ultimi piani ci voleva un'eternità. Fiamme permettendo. Non lo conosceremo mai, il numero dei morti. (Quarantamila, quarantacinquemila...?). Gli americani non lo diranno mai. Per non sottolineare l'intensità di questa Apocalisse. Per non dar soddisfazione a Usama Bin Laden e incoraggiare altre Apocalissi.

E poi le due voragini che hanno assorbito le decine di migliaia di creature son troppo profonde. Al massimo gli operai dissottèrrano pezzettini di membra sparse. Un naso qui, un dito là. Oppure una specie di melma che sembra caffè macinato e invece è materia organica. Il residuo dei corpi che in un lampo si polverizzarono. Ieri il sindaco Giuliani ha mandato altri diecimila sacchi. Ma sono rimasti inutilizzati.

Che cosa sento per i kamikaze che sono morti con loro? Nessun rispetto. Nessuna pietà. No, neanche pietà. Io che in ogni caso finisco sempre col cedere alla pietà. A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli altri sono sempre stati antipatici, incominciando da quelli giapponesi della Seconda Guerra Mondiale.

Non li ho mai considerati Pietri Micca che per bloccar l'arrivo delle truppe nemiche danno fuoco alle polveri e saltano in aria con la cittadella, a Torino. Non li ho mai considerati soldati. E tantomeno li considero martiri o eroi, come berciando e sputando saliva il signor Arafat me li definì nel 1972. (Ossia quando lo intervistai ad Amman, luogo dove i suoi marescialli addestravano anche i terroristi della Baader-Meinhof).

Li considero vanesi e basta. Vanesi che invece di cercar la gloria attraverso il cinema o la politica o lo sport la cercano nella morte propria e altrui. Una morte che invece del Premio Oscar o della poltrona ministeriale o dello scudetto gli procurerà (credono) ammirazione.

E, nel caso di quelli che pregano Allah, un posto nel Paradiso di cui parla il Corano: il Paradiso dove gli eroi si scopano le Urì. Scommetto che sono vanesi anche fisicamente. Ho sotto gli occhi la fotografia dei due kamikaze di cui parlo nel mio "Insciallah": il romanzo che incomincia con la distruzione della base americana (oltre quattrocento morti) e della base francese (oltre trecentocinquanta morti) a Beirut. Se l'erano fatta scattare prima d'andar a morire, quella fotografia, e prima d'andar a morire erano stati dal barbiere.

Guarda che bel taglio di capelli. Che baffi impomatati, che barbetta leccata, che basette civettuole... Eh! Chissà come friggerebbe il signor Arafat ad ascoltarmi. Sai, tra me e lui non corre buon sangue.

Non mi ha mai perdonato né le roventi differenze di opinione che avemmo durante quell'incontro né il giudizio che su di lui espressi nel mio libro "Intervista con la storia". Quanto a me, non gli ho mai perdonato nulla.

Incluso il fatto che un giornalista italiano imprudentemente presentatosi a lui come "mio amico", si sia ritrovato con una rivoltella puntata contro il cuore. Ergo, non ci frequentiamo più. Peccato. Perché se lo incontrassi di nuovo, o meglio se gli concedessi udienza, glielo urlerei sul muso chi sono i martiri e gli eroi.

Gli urlerei: illustre Signor Arafat, i martiri sono i passeggeri dei quattro aerei dirottati e trasformati in bombe umane. Tra di loro la bambina di quattro anni che si è disintegrata dentro la seconda torre. Illustre Signor Arafat, i martiri sono gli impiegati che lavoravano nelle due torri e al Pentagono. Illustre Signor Arafat, i martiri sono i pompieri morti per tentar di salvarli.

E lo sa chi sono gli eroi? Sono i passeggeri del volo che doveva buttarsi sulla Casa Bianca e che invece si è schiantato in un bosco della Pennsylvania perché loro si son ribellati! Per loro sì che ci vorrebbe il Paradiso, illustre Signor Arafat.

Il guaio è che ora fa Lei il capo di Stato ad perpetuum. Fa il monarca. Rende visita al Papa, afferma che il terrorismo non le piace, manda le condoglianze a Bush. E nella sua camaleontica abilità di smentirsi, sarebbe capace di rispondermi che ho ragione. Ma cambiamo discorso. Io sono molto ammalata, si sa, e a parlare con gli Arafat mi viene la febbre.

Preferisco parlare dell'invulnerabilità che tanti, in Europa, attribuivano all'America. Invulnerabilità? Ma come invulnerabilità?!? Più una società è democratica e aperta, più è esposta al terrorismo. Più un paese è libero, non governato da un regime poliziesco, più subisce o rischia i dirottamenti o i massacri che sono avvenuti per tanti anni in Italia in Germania e in altre regioni d'Europa. E che ora avvengono, ingigantiti, in America. Non per nulla i paesi non democratici, governati da un regime poliziesco, hanno sempre ospitato e finanziato e aiutano i terroristi.

L'Unione Sovietica, i paesi satelliti dell'Unione Sovietica e la Cina Popolare, ad esempio. La Libia di Gheddafi, l'Iraq, l'Iran, la Siria, il Libano arafattiano, lo stesso Egitto, la stessa Arabia Saudita di cui Usama Bin Laden è suddito, lo stesso Pakistan, ovviamente l'Afghanistan, e tutte le regioni musulmane dell'Africa.

Negli aeroporti e sugli aerei di quei paesi io mi sono sempre sentita sicura. Serena come un neonato che dorme. L'unica cosa che temevo era essere arrestata perché scrivevo male dei terroristi. Negli aeroporti e sugli aerei europei, invece, mi sono sempre sentita nervosetta. Negli aeroporti e sugli aerei americani, addirittura nervosa.

E a New York, due volte nervosa. (A Washington, no. Devo ammetterlo. L'aereo sul Pentagono non me lo aspettavo davvero). A mio giudizio, insomma, non è mai stato un problema di "se": è sempre stato un problema di "quando".

Perché credi che martedì mattina il mio subconscio abbia avvertito quella inquietudine, quella sensazione di pericolo? Perché credi che contrariamente alle mie abitudini abbia acceso il televisore? Perché credi che fra le tre domande che mi ponevo mentre la prima torre bruciava e l'audio non funzionava, ci fosse quella sull'attentato? E perché credi che appena apparso il secondo aereo abbia capito?

Poiché l'America è il Paese più forte del mondo, il più ricco, il più potente, il più moderno, ci sono cascati quasi tutti in quel tranello. Gli americani stessi, a volte. Ma la vulnerabilità dell'America nasce proprio dalla sua forza, dalla sua ricchezza, dalla sua potenza, dalla sua modernità. La solita storia del cane che si mangia la coda.

Nasce anche dalla sua essenza multi-etnica, dalla sua liberalità, dal suo rispetto per i cittadini e per gli ospiti. Esempio: circa ventiquattro milioni di americani sono arabi-musulmani. E quando un Mustafà o un Muhammed viene diciamo dall'Afghanistan per visitare lo zio, nessuno gli proibisce di frequentare una scuola di pilotaggio per imparare a guidare un 757.

Nessuno gli proibisce d'iscriversi a un'Università (cosa che spero cambi) per studiare chimica e biologia: le due scienze necessarie a scatenare una guerra batteriologica. Nessuno. Neppure se il governo teme che quel figlio di Allah dirotti il 757 oppure butti una fiala di batteri nel deposito dell'acqua e scateni una strage. (Dico "se" perché stavolta il governo non ne sapeva un bel niente e la figuraccia fatta dalla Cia e dall'Fbi va al di là d'ogni limite.

Se fossi il presidente degli Stati Uniti io li caccerei tutti a pedate nei posteriori per cretineria). E detto ciò torniamo al ragionamento iniziale. Quali sono i simboli della forza, della ricchezza, della potenza, della modernità americane? Non certo il jazz e il rock and roll, il chewing-gum e l'hamburger, Broadway ed Hollywood. Sono i suoi grattacieli. Il suo Pentagono. La sua scienza.

La sua tecnologia. Quei grattacieli impressionanti, così alti, così belli che ad alzar gli occhi quasi dimentichi le piramidi e i divini palazzi del nostro passato. Quegli aerei giganteschi, esagerati, che ormai usano come un tempo usavano i velieri e i camion perché tutto qui si muove con gli aerei. Tutto.

La posta, il pesce fresco, noi stessi (E non dimenticare che la guerra aerea l'hanno inventata loro. O almeno sviluppata fino all'isteria). Quel Pentagono terrificante, quella fortezza che fa paura solo a guardarla. Quella scienza onnipresente, onnipossente.

Quella tecnologia raggelante che in pochissimi anni ha stravolto la nostra esistenza quotidiana, la nostra millenaria maniera di comunicare, mangiare, vivere. E dove li ha colpiti, il reverendo Usama Bin Laden? Sui grattacieli, sul Pentagono. Come? Con gli aerei, con la scienza, con la tecnologia.

By the way: sai cosa mi impressiona di più in questo tristo ultramiliardario, questo mancato play-boy che anziché corteggiare le principesse bionde e folleggiare nei night-club (come faceva a Beirut quando aveva vent'anni) si diverte ad ammazzar la gente in nome di Maometto e di Allah? Il fatto che il suo sterminato patrimonio derivi anche dai guadagni d'una Corporation specializzata nel demolire, e che egli stesso sia un esperto demolitore. La demolizione è una specialità americana.

Quando ci siamo incontrati t'ho visto quasi stupefatto dall'eroica efficienza e dall'ammirevole unità con cui gli americani hanno affrontato quest'Apocalisse.

Eh, sì. Nonostante i difetti che le vengono continuamente rinfacciati, che io stessa le rinfaccio, (ma quelli dell'Europa e in particolare dell'Italia sono ancora più gravi), l'America è un paese che ha grosse cose da insegnarci.

E a proposito dell'eroica efficienza lasciami cantare un peana per il sindaco di New York. Quel Rudolph Giuliani che noi italiani dovremmo ringraziare in ginocchio. Perché ha un cognome italiano, è un oriundo italiano, e ci fa fare bella figura dinanzi al mondo intero. E' un grande anzi grandissimo sindaco, Rudolph Giuliani.

Te lo dice una che non è mai contenta di nulla e di nessuno incominciando da se stessa. E' un sindaco degno d'un altro grandissimo sindaco col cognome italiano, Fiorello La Guardia, e tanti dei nostri sindaci dovrebbero andare a scuola da lui. Presentarsi a capo chino, anzi con la cenere sul capo, e chiedergli: "Sor Giuliani, per cortesia ci dice come si fa?". Lui non delega i suoi doveri al prossimo, no.

Non perde tempo nelle bischerate e nelle avidità. Non si divide tra l'incarico di sindaco e quello di ministro o deputato. (C'è nessuno che mi ascolta nelle tre città di Stendhal, insomma a Napoli e a Firenze e a Roma?).

Essendo corso subito, e subito entrato nel secondo grattacielo, ha rischiato di trasformarsi in cenere con gli altri. S'è salvato per un pelo e per caso. E nel giro di quattro giorni ha rimesso in piedi la città. Una città che ha nove milioni e mezzo di abitanti, bada bene, e quasi due nella sola Manhattan.

Come abbia fatto, non lo so. E' malato come me, pover'uomo. Il cancro che torna e ritorna ha beccato anche lui. E, come me, fa finta d'essere sano: lavora lo stesso.

Ma io lavoro a tavolino, perbacco, stando seduta! Lui, invece... Sembrava un generale che partecipa di persona alla battaglia. Un soldato che si lancia all'attacco con la baionetta. "Forza, gente, forzaaa! Tiriamoci su le maniche, sveltiii!" Ma poteva farlo perché quella gente era, è, come lui. Gente senza boria e senza pigrizia, avrebbe detto mio padre, e con le palle.

Quanto all'ammirevole capacità di unirsi, alla compattezza quasi marziale con cui gli americani rispondono alle disgrazie e al nemico, bè: devo ammettere che lì per lì ha stupito anche me. Sapevo, sì, che era esplosa al tempo di Pearl Harbor, cioè quando il popolo s'era stretto intorno a Roosevelt e Roosevelt era entrato in guerra contro la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini e il Giappone di Hirohito.

L'avevo annusata, sì, dopo l'assassinio di Kennedy. Ma a questo era seguita la guerra in Vietnam, la lacerante divisione causata dalla guerra in Vietnam, e in un certo senso ciò mi aveva ricordato la loro Guerra Civile d'un secolo e mezzo fa.

Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati "God save America, Dio salvi l'America", quando gli ho visto cancellare tutte le divergenze, sono rimasta di stucco.

Lo stesso, quando ho udito Bill Clinton (persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare "Stringiamoci intorno a Bush, abbiate fiducia nel nostro presidente". Lo stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie Hillary ora senatore per lo Stato di New York. Lo stesso, quando sono state reiterate da Lieberman, l'ex candidato democratico alla vice-presidenza. (Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto).

E lo stesso quando il Congresso ha votato all'unanimità d'accettare la guerra, punire i responsabili. Ah, se l'Italia imparasse questa lezione! È un Paese così diviso, l'Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all'interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano...

Io sono assolutamente convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa, l'opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe la colpa all'opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell'opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati.

E detto ciò lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani. Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito.

Senza cedere, tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono: "I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi d'essere esausto, non d'essere sconfitto". Tutti. Giovani, giovanissimi, vecchi, di mezz'età. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola...

L'avete visti o no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: "Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa! Usa! Usa!". In un paese totalitario avrei pensato: "Ma guarda come l'ha organizzata bene il Potere!".

In America, no. In America queste cose non le organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento.

Quelli non obbediscono neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la Patria... In inglese la parola Patria non c'è. Per dire Patria bisogna accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre. Native Land, Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese.

Però il sostantivo Patriotism c'è. L'aggettivo Patriotic c'è. E a parte la Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell'America. Ah! Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno glielo ordinasse.

E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna.

Mal guidati o tiranneggiati da una sinistra arrogante e devota all'Unione Sovietica, le bandiere tricolori le hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli che vanno alla Messa, idem.

Quanto al becero con la camicia verde e la cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore. Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli stadi, quando c'è una partita internazionale di calcio.

Unica occasione, peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia. Eh! C'è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero.

Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle creature massacrate dai figli di Allah. Oppure per raccogliere quel caffè macinato.

Il fatto è che l'America è un paese speciale, caro mio. Un paese da invidiare, di cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la ricchezza eccetera. Lo è perché è nato da un bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, e dall'idea più sublime che l'Uomo abbia mai concepito: l'idea della Libertà, anzi della libertà sposata all'idea di uguaglianza.

Lo è anche perché a quel tempo l'idea di libertà non era di moda. L'idea di uguaglianza, nemmeno. Non ne parlavano che certi filosofi detti Illuministi, di queste cose. Non li trovavi che in un costosissimo librone a puntate detto l'Encyclopedie, questi concetti. E a parte gli scrittori o gli altri intellettuali, a parte i principi e i signori che avevano i soldi per comprare il librone o i libri che avevano ispirato il librone, chi ne sapeva nulla dell'Illuminismo? Non era mica roba da mangiare, l'Illuminismo!

Non ne parlavan neppure i rivoluzionari della Rivoluzione Francese, visto che la Rivoluzione Francese sarebbe incominciata nel 1789 ossia tredici anni dopo la Rivoluzione Americana che scoppiò nel 1776. (Altro particolare che gli antiamericani del bene-agli-americani-gli-sta-bene ignorano o fingono di dimenticare. Razza di ipocriti).

È un paese speciale, un paese da invidiare, inoltre, perché quell'idea venne capita da contadini spesso analfabeti o comunque ineducati.

I contadini delle colonie americane. E perché venne materializzata da un piccolo gruppo di leader straordinari: da uomini di grande cultura, di gran qualità. The Founding Fathers, i Padri Fondatori. Ma hai idea di chi fossero i Padri Fondatori, i Benjamin Franklin e i Thomas Jefferson e i Thomas Paine e i John Adams e i George Washington eccetera? Altro che gli avvocaticchi (come giustamente li chiamava Vittorio Alfieri) della Rivoluzione Francese! Altro che i cupi e isterici boia del Terrore, i Marat e i Danton e i Saint Just e i Robespierre!

Erano tipi, i Padri Fondatori, che il greco e il latino lo conoscevano come gli insegnanti italiani di greco e di latino (ammesso che ne esistano ancora) non lo conosceranno mai. Tipi che in greco s'eran letti Aristotele e Platone, che in latino s'eran letti Seneca e Cicerone, e che i principii della democrazia greca se l'eran studiati come nemmeno i marxisti del mio tempo studiavano la teoria del plusvalore. (Ammesso che la studiassero davvero).

Jefferson conosceva anche l'italiano. (Lui diceva "toscano"). In italiano parlava e leggeva con gran speditezza. Infatti con le duemila piantine di vite e le mille piantine di olivo e la carta da musica che in Virginia scarseggiava, nel 1774 il fiorentino Filippo Mazzei gli aveva portato varie copie d'un libro scritto da un certo Cesare Beccaria e intitolato "Dei Delitti e delle Pene". Quanto all'autodidatta Franklin, era un genio.

Scienziato, stampatore, editore, scrittore, giornalista,politico, inventore. Nel 1752 aveva scoperto la natura elettrica del fulmine e aveva inventato il parafulmine. Scusa se è poco. E fu con questi leader straordinari, questi uomini di gran qualità, che nel 1776 i contadini spesso analfabeti e comunque ineducati si ribellarono all'Inghilterra. Fecero la guerra d'indipendenza, la Rivoluzione Americana.

Bè... Nonostante i fucili e la polvere da sparo, nonostante i morti che ogni guerra costa, non la fecero coi fiumi di sangue della futura Rivoluzione Francese. Non la fecero con la ghigliottina e coi massacri della Vandea.

La fecero con un foglio che insieme al bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, concretizzava la sublime idea della libertà anzi della libertà sposata all'uguaglianza. La Dichiarazione d'Indipendenza. "We hold these Truths to be self-evident...

Noi riteniamo evidenti queste verità. Che tutti gli Uomini sono creati uguali. Che sono dotati dal Creatore di certi inalienabili Diritti. Che tra questi Diritti v'è il diritto alla Vita, alla Libertà, alla Ricerca della Felicità.

Che per assicurare questi Diritti gli Uomini devono istituire i governi...". E quel foglio che dalla Rivoluzione Francese in poi tutti gli abbiamo bene o male copiato, o al quale ci siamo ispirati, costituisce ancora la spina dorsale dell'America. La linfa vitale di questa nazione.

Sai perché? Perché trasforma i sudditi in cittadini. Perché trasforma la plebe in Popolo. Perché la invita anzi le ordina di governarsi, d'esprimere le proprie individualità, di cercare la propria felicità.

Tutto il contrario di ciò che il comunismo faceva proibendo alla gente di ribellarsi, governarsi, esprimersi, arricchirsi, e mettendo Sua Maestà lo Stato al posto dei soliti re. "Il comunismo è un regime monarchico, una monarchia di vecchio stampo. In quanto tale taglia le palle agli uomini.

E quando a un uomo gli tagli le palle non è più un uomo" diceva mio padre. Diceva anche che invece di riscattare la plebe il comunismo trasformava tutti in plebe. Rendeva tutti morti di fame.

Bè, secondo me l'America riscatta la plebe. Sono tutti plebei, in America. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola, stupidi, intelligenti, poveri, ricchi. Anzi i più plebei sono proprio i ricchi. Nella maggioranza dei casi, certi piercoli! Rozzi, maleducati.

Lo vedi subito che non hanno mai letto Monsignor della Casa, che non hanno mai avuto nulla a che fare con la raffinatezza e il buon gusto e la sophistication. Nonostante i soldi che sprecano nel vestirsi, ad esempio, son così ineleganti che in paragone la regina d'Inghilterra sembra chic. Però sono riscattati, perdio.

E a questo mondo non c'è nulla di più forte, di più potente, della plebe riscattata. Ti rompi sempre le corna con la Plebe Riscattata. E con l'America le corna se le sono sempre rotte tutti. Inglesi, tedeschi, messicani, russi, nazisti, fascisti, comunisti.

Da ultimo se le son rotte perfino i vietnamiti che dopo la vittoria son dovuti scendere a patti con loro sicché quando un ex presidente degli Stati Uniti va a fargli una visitina toccano il cielo con un dito. "Bienvenu, Monsieur le President, bienvenu!".

Il guaio è che i vietnamiti non pregano Allah. E con i figli di Allah la faccenda sarà dura. Molto lunga e molto dura. Ammenoché il resto dell'Occidente non smetta di farsela addosso. E ragioni un po' e gli dia una mano.

Non sto parlando, ovvio, alle iene che se la godono a veder le immagini delle macerie e ridacchiano bene-agli-americani-gli-sta-bene. Sto parlando alle persone che pur non essendo stupide o cattive, si cullano ancora nella prudenza e nel dubbio.

E a loro dico: sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione.

Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime.

Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci.

Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri... Cristo!

Non vi rendete conto che gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti, perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non v'importa neanche di questo, scemi?

Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di lasciarmi ammazzare perché lo sono. Da vent'anni lo dico, da vent'anni.

Con una certa mitezza, non con questa passione, vent'anni fa su questa roba scrissi un articolo di fondo per il "Corriere". Era l'articolo di una persona abituata a stare con tutte le razze e tutti i credi, d'una cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le intolleranze, d'una laica senza tabù.

Ma era anche l'articolo di una persona indignata con chi non sentiva il puzzo di una Guerra Santa a venire, e ai figli di Allah gliene perdonava un po' troppe. Feci un ragionamento che suonava press'appoco così, vent'anni fa. "Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando loro disprezzano la nostra?

Io voglio difendere la nostra, e v'informo che Dante Alighieri mi piace più di Omar Khayan". Apriti cielo. Mi crocifissero. "Razzista, razzista!". Eh, furono gli stessi progressisti (a quel tempo si chiamavano comunisti) a crocifiggermi. Del resto quell'insulto me lo presi anche quando i sovietici invasero l'Afghanistan.

Li ricordi quei barbuti con la sottana e il turbante che prima di sparare il mortaio, anzi a ciascun colpo di mortaio, berciavano le lodi del Signore? "Allah akbar! Allah akbar!". Io li ricordo bene.

E a veder accoppiare la parola Dio al colpo di mortaio, mi venivano i brividi. Mi pareva d'essere nel Medioevo, e dicevo: "I sovietici sono quello che sono. Però bisogna ammettere che a far quella guerra proteggono anche noi. E li ringrazio".

Riapriti cielo. "Razzista, razzista!". Nella loro cecàggine non volevan neanche sentirmi parlare delle mostruosità che i figli di Allah commettevano sui militari fatti prigionieri. (Gli segavano le braccia e le gambe, rammenti?

Un vizietto a cui s'erano già abbandonati in Libano coi prigionieri cristiani ed ebrei). Non volevano che lo dicessi, no. E pur di fare i progressisti applaudivano gli americani che rincretiniti dalla paura dell'Unione Sovietica riempivan di armi l'eroico-popolo-afghano. Addestravano i barbuti, e coi barbuti un barbutissimo Usama Bin Laden. Via-i-russi-dall'Afghanistaaaan! I-russi- devono-andarsene-dall'Afghanistaaaan!

Bè, i russi se ne sono andati dall'Afghanistan: contenti? E dall'Afghanistan i barbuti del barbutissimo Usama Bin Laden sono arrivati a New York con gli sbarbati siriani egiziani iracheni libanesi palestinesi sauditi che componevano la banda dei diciannove kamikaze identificati: contenti?

Peggio: ora qui si discute sul prossimo attacco che ci colpirà con le armi chimiche, biologiche, radioattive, nucleari. Si dice che la nuova strage è inevitabile perché l'Iraq gli fornisce il materiale.

Si parla di vaccinazioni, di maschere a gas, di peste. Ci si chiede quando avverrà... Contenti? Alcuni non sono né contenti né scontenti. Se ne fregano e basta. Tanto l'America è lontana, tra l'Europa e l'America c'è un oceano... Eh, no, cari miei. No. C'è un filo d'acqua. Perché quando è in ballo il destino dell'Occidente, la sopravvivenza della nostra civiltà, New York siamo noi.

L'America siamo noi. Noi italiani, noi francesi, noi inglesi, noi tedeschi, noi austriaci, noi ungheresi, noi slovacchi, noi polacchi, noi scandinavi, noi belgi, noi spagnoli, noi greci, noi portoghesi. Se crolla l'America, crolla l'Europa. Crolla l'Occidente, crolliamo noi. E non solo in senso finanziario cioè nel senso che, mi pare, vi preoccupa di più. (Una volta, ero giovane e ingenua, dissi ad Arthur Miller: "Gli americani misurano tutto coi soldi, non pensano che ai soldi". E Arthur Miller mi rispose: "Voi no?").

In tutti i sensi crolliamo, caro mio. E al posto delle campane ci ritroviamo i muezzin, al posto delle minigonne ci ritroviamo il chador, al posto del cognacchino il latte di cammella. Neanche questo capite, neanche questo volete capire?!? Blair lo ha capito.

È venuto qui e ha portato anzi rinnovato a Bush la solidarietà degli inglesi. Non una solidarietà espressa con le chiacchiere e i piagnistei: una solidarietà basata sulla caccia ai terroristi e sull'alleanza militare.

Chirac, no. Come sai la scorsa settimana era qui in visita ufficiale. Una visita prevista da tempo, non una visita ad hoc. Ha visto le macerie delle due torri, ha saputo che i morti sono un numero incalcolabile anzi inconfessabile, ma non s'è sbilanciato. Durante l'intervista alla Cnn ben quattro volte la ma amica Cristiana Amanpour gli ha chiesto in qual modo e in qual misura intendesse schierarsi contro questa Jihad, e per quattro volte Chirac ha evitato una risposta.

È sgusciato via come un'anguilla. Veniva voglia di gridargli: "Monsieur le President! Ricorda lo sbarco in Normandia? Lo sa quanti americani sono crepati in Normandia per cacciare i nazisti anche dalla Francia?". Escluso Blair, del resto, neanche fra gli altri europei vedo Riccardi Cuor di Leone.

E tantomeno ne vedo in Italia dove il governo non ha individuato quindi arrestato alcun complice o sospetto complice di Usama Bin Laden. Perdio, signor cavaliere, perdio! Malgrado la paura della guerra, in ogni paese d'Europa è stato individuato e arrestato qualche complice di Usama Bin Laden. In Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna...

Ma in Italia dove le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria la Cupola di San Pietro, nessuno. Zero. Nulla. Nessuno. Mi spieghi, signor cavaliere: son così incapaci i Suoi poliziotti e carabinieri? Son così coglioni i Suoi servizi segreti? Son così scemi i Suoi funzionari? E son tutti stinchi di santo, tutti estranei a ciò che è successo e succede, i figli di Allah che ospitiamo?

Oppure a fare le indagini giuste, a individuare e arrestare chi finoggi non avete individuato e arrestato, Lei teme di subire il solito ricatto razzista-razzista? Io, vede, no. Cristo! Io non nego a nessuno il diritto di avere paura. Chi non ha paura della guerra è un cretino. E chi vuol far credere di non avere paura alla guerra, l'ho scritto mille volte, è insieme un cretino e un bugiardo.

Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si sottraggono a questa tragedia, a me sembrano masochisti.

Masochisti, sì, masochisti. Perché vogliamo farlo questo discorso su ciò che tu chiami Contrasto-fra-le-Due-Culture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c'è Omero, c'è Socrate, c'è Platone, c'è Aristotele, c'è Fidia, perdio.

C'è l'antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. C'è l'antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della Legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade.

C'è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell'amore e della giustizia. C'è anche una Chiesa che mi ha dato l'Inquisizione, d'accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d'accordo.

Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no? E poi dietro la nostra civiltà c'è il Rinascimento.

C'è Leonardo da Vinci, c'è Michelangelo, c'è Raffaello, c'è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita. Guai se fischi una canzonetta o mugoli il coro del Nabucco. E infine c'è la Scienza, perdio. Una scienza che ha capito parecchie malattie e le cura. Io sono ancora viva, per ora, grazie alla nostra scienza: non quella di Maometto.

Una scienza che ha inventato macchine meravigliose. Il treno, l'automobile, l'aereo, le astronavi con cui siamo andati sulla Luna e su Marte e presto andremo chissàddove. Una scienza che ha cambiato la faccia di questo pianeta con l'elettricità, la radio, il telefono, la televisione, e a proposito: è vero che i santoni della sinistra non vogliono dire ciò che ho appena detto?!? Dio, che bischeri! Non cambieranno mai.

Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all'altra cultura che c'è? Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso. (I Commentari su Aristotele eccetera), Arafat ci trova anche i numeri e la matematica.

Di nuovo berciandomi addosso, di nuovo coprendomi di saliva, nel 1972 mi disse che la sua cultura era superiore alla mia, molto superiore alla mia, perché i suoi nonni avevano inventato i numeri e la matematica. Ma Arafat ha la memoria corta. Per questo cambia idea e si smentisce ogni cinque minuti.

I suoi nonni non hanno inventato i numeri e la matematica. Hanno inventato la grafia dei numeri che anche noi infedeli adopriamo, e la matematica è stata concepita quasi contemporaneamente da tutte le antiche civiltà. In Mesopotamia, in Grecia, in India, in Cina, in Egitto, tra i Maya...

I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah.

E ora vediamo quali sono i pregi che distinguono questo Corano. Davvero pregi? Dacché i figli di Allah hanno semidistrutto New York, gli esperti dell'Islam non fanno che cantarmi le lodi di Maometto: spiegarmi che il Corano predica la pace e la fratellanza e la giustizia. (Del resto lo dice anche Bush, povero Bush.

E va da sé che Bush deve tenersi buoni i ventiquattro milioni di americani-musulmani, convincerli a spifferare quel che sanno sugli eventuali parenti o amici o conoscenti devoti a Usama Bin Laden). Ma allora come la mettiamo con la storia dell'Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente?

Come la mettiamo con la faccenda del chador anzi del velo che copre il volto delle musulmane, sicché per dare una sbirciata al prossimo quelle infelici devon guardare attraverso una fitta rete posta all'altezza degli occhi?

Come la mettiamo con la poligamia e col principio che le donne debbano contare meno dei cammelli, che non debbano andare a scuola, non debbano andare dal dottore, non debbano farsi fotografare eccetera? Come la mettiamo col veto degli alcolici e la pena di morte per chi li beve? Anche questo sta nel Corano.

E non mi sembra mica tanto giusto, tanto fraterno, tanto pacifico. Ecco dunque la mia risposta alla tua domanda sul Contrasto-delle-Due-Culture. Al mondo c'è posto per tutti, dico io.

A casa propria tutti fanno quel che gli pare. E se in alcuni paesi le donne sono così stupide da accettare il chador anzi il velo da cui si guarda attraverso una fitta rete posta all'altezza degli occhi, peggio per loro. Se son così scimunite da accettar di non andare a scuola, non andar dal dottore, non farsi fotografare eccetera, peggio per loro. Se son così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli, peggio per loro. Se i loro uomini sono così grulli da non bere la birra e il vino, idem.

Non sarò io a impedirglielo. Ci mancherebbe altro. Sono stata educata nel concetto di libertà, io, e la mia mamma diceva: "Il mondo è bello perché è vario". Ma se pretendono d'imporre le stesse cose a me, a casa mia... Lo pretendono.

Usama Bin Laden afferma che l'intero pianeta Terra deve diventar musulmano, che dobbiamo convertirci all'Islam, che con le buone o con le cattive lui ci convertirà, che a tal scopo ci massacra e continuerà a massacrarci. E questo non può piacerci, no. Deve metterci addosso una gran voglia di rovesciar le carte, ammazzare lui.

Però la cosa non si risolve, non si esaurisce, con la morte di Usama Bin Laden. Perché gli Usama Bin Laden sono decine di migliaia, ormai, e non stanno soltanto in Afghanistan o negli altri paesi arabi. Stanno dappertutto, e i più agguerriti stanno proprio in Occidente.

Nelle nostre città, nelle nostre strade, nelle nostre università, nei gangli della tecnologia. Quella tecnologia che qualsiasi ottuso può maneggiare. La Crociata è in atto da tempo. E funziona come un orologio svizzero, sostenuta da una fede e da una perfidia paragonabile soltanto alla fede e alla perfidia di Torquemada quando gestiva l'Inquisizione. Infatti trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile.

Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso. T e lo dice una che quel tipo di fanatismo lo ha conosciuto abbastanza bene in Iran, in Pakistan, in Bangladesh, in Arabia Saudita, in Kuwait, in Libia, in Giordania, in Libano, e a casa sua. Cioè in Italia. Lo ha conosciuto, ed anche attraverso episodi triviali, anzi grotteschi, ne ha avuto raggelanti conferme.

Io non dimentico mai quel che mi accadde all'ambasciata iraniana di Roma quando chiesi il visto per recarmi a Teheran, per intervistare Khomeini, e mi presentai con le unghie smaltate di rosso. Per loro, segno di immoralità. Mi trattarono come una prostituta da bruciare sul rogo. Mi ingiunsero di levarlo immediatamente quel rosso. E se non gli avessi detto anzi urlato che cosa gradivo levare, anzi tagliare a loro...

Non dimentico nemmeno quel che mi accadde a Qom, la città santa di Khomeini, dove in quanto donna venni respinta da tutti gli alberghi. Per intervistare Khomeini dovevo mettermi il chador, per mettermi il chador dovevo togliermi i blue jeans, per togliermi i blue jeans dovevo appartarmi, e naturalmente avrei potuto effettuare l'operazione nell'automobile con la quale ero giunta da Teheran.

Ma l'interprete me lo impedì. Lei-è-pazza, lei-è-pazza, a-fare-una-cosa-simile-a-Qom-si-finisce-fucilati. Preferì portarmi all'ex Palazzo Reale dove un custode pietoso ci ospitò, ci prestò l'ex Sala del Trono.

Infatti io mi sentivo come la Madonna che per dare alla luce il Bambin Gesù si rifugia insieme a Giuseppe nella stalla scaldata dall'asino e dal bue. Ma a un uomo e a una donna non sposati fra loro il Corano vieta di appartarsi dietro una porta chiusa, ahimé, e d'un tratto la porta si aprì.

Il mullah addetto al Controllo della Moralità irruppe strillando vergogna-vergogna, peccato-peccato, e v'era solo un modo per non finire fucilati: sposarsi. Firmare l'atto di matrimonio a scadenza (quattro mesi) che il mullah ci sventolava sulla faccia. Il guaio è che l'interprete aveva una moglie spagnola, una certa Consuelo per nulla disposta ad accettare la poligamia, e io non volevo sposare nessuno. Tantomeno un iraniano con la moglie spagnola e nient'affatto disposta ad accettare la poligamia. Nel medesimo tempo non volevo finir fucilata ossia perdere l'intervista con Khomeini. In tal dilemma mi dibattevo e... Ridi, ne son certa.

Ti sembrano barzellette. Bè, allora il seguito di questo episodio non te lo racconto. Per farti piangere ti racconto quello dei dodici giovanotti impuri che finita la guerra del Bangladesh vidi giustiziare a Dacca. Li giustiziarono sul campo dello stadio di Dacca, a colpi di baionetta nel torace o nel ventre, e alla presenza di ventimila fedeli che dalle tribune applaudivano in nome di Dio.

Tuonavano "Allah akbar, Allah akbar". Lo so, lo so: nel Colosseo gli antichi romani, quegli antichi romani di cui la mia cultura va fiera, si divertivano a veder morire i cristiani dati in pasto ai leoni.

Lo so, lo so: in tutti i paesi d'Europa i cristiani, quei cristiani ai quali malgrado il mio ateismo riconosco il contributo che hanno dato alla Storia del Pensiero, si divertivano a veder bruciare gli eretici. Però è trascorso parecchio tempo, siamo diventati un pochino più civili, e anche i figli di Allah dovrebbero aver compreso che certe cose non si fanno. Dopo i dodici giovanotti impuri ammazzarono un bambino che per salvare il fratello condannato a morte s'era buttato sui giustizieri.

A lui schiacciarono la testa con gli scarponi da militare. E se non ci credi, bè: rileggi la mia cronaca o la cronaca dei giornalisti francesi e tedeschi che inorriditi quanto me erano lì con me. Meglio: guardati le fotografie che uno di essi scattò. Comunque il punto che mi preme sottolineare non è questo.

È che, concluso lo scempio, i ventimila fedeli (molte donne) lasciarono le tribune e scesero nel campo. Non in maniera scomposta, cialtrona, no. In maniera ordinata, solenne. Lentamente composero un corteo e, sempre in nome di Dio, passarono sopra i cadaveri. Sempre tuonando Allah-akbar, Allah-akbar. Li distrussero come le due Torri di New York.

Li ridussero a un tappeto sanguinolento di ossa spiaccicate. Oh, potrei continuare all'infinito. Dirti cose mai dette, cose da farti rizzare i capelli in testa. Su quel rimbambito di Khomeini, ad esempio, che dopo l'intervista tenne un comizio a Qom per dichiarare che io lo accusavo di tagliare i seni alle donne. Da tale comizio ricavò un video che per mesi venne trasmesso alla televisione di Teheran sicché, quando l'anno successivo tornai a Teheran, venni arrestata appena scesa dall'aereo.

E la vidi brutta, sai, proprio brutta. Era il periodo degli ostaggi americani... potrei parlarti di quel Mujib Rahman che, sempre a Dacca, aveva ordinato ai suoi guerriglieri di eliminarmi in quanto europea pericolosa, e meno male che a rischio della propria vita un colonnello inglese mi salvò. O di quel palestinese di nome Habash che per venti minuti mi fece tenere un mitragliatore puntato alla testa.

Dio, che gente! I soli coi quali abbia avuto un rapporto civile restano il povero Alì Bhutto cioè il primo ministro del Pakistan, morto impiccato perché troppo amico dell'Occidente, e il bravissimo re di Giordania: re Hussein.

Ma quei due erano musulmani quanto io son cattolica. Comunque voglio darti la conclusione del mio ragionamento. Una conclusione che non piacerà a molti, visto che difendere la propria cultura, in Italia, sta diventando peccato mortale. E visto che intimiditi dall'impropria parola "razzista", tutti tacciono come conigli.

Io non vado a rizzare tende alla Mecca. Io non vado a cantar Paternostri e Avemarie dinanzi alla tomba di Maometto. Io non vado a fare pipì sui marmi delle loro moschee, non vado a fare la cacca ai piedi dei loro minareti. Quando mi trovo nei loro paesi (cosa dalla quale non traggo mai diletto) non dimentico mai d'essere un'ospite e una straniera. Sto attenta a non offenderli con abiti o gesti o comportamenti che per noi sono normali e per loro inammissibili.

Li tratto con doveroso rispetto, doverosa cortesia, mi scuso se per sbadatezza o ignoranza infrango qualche loro regola o superstizione. E questo urlo di dolore e di sdegno io te l'ho scritto avendo dinanzi agli occhi immagini che non sempre mi davano le apocalittiche scene con le quali ho incominciato il discorso. A volte invece di quelle vedevo l'immagine per me simbolica (quindi infuriante) della gran tenda con cui un'estate fa i mussulmani somali sfregiarono e smerdarono e oltraggiarono per tre mesi piazza del Duomo a Firenze.

La mia città. Una tenda rizzata per biasimare condannare insultare il governo italiano che li ospitava ma non gli concedeva le carte necessarie a scorrazzare per l'Europa e non gli lasciava portare in Italia le orde dei loro parenti. Mamme, babbi, fratelli, sorelle, zii, zie, cugini, cognate incinte, e magari i parenti dei parenti. Una tenda situata accanto al bel palazzo dell'Arcivescovado sul cui marciapiede tenevano le scarpe o le ciabatte che nei loro paesi allineano fuori dalle moschee.

E insieme alle scarpe o le ciabatte, le bottiglie vuote dell'acqua con cui si lavavano i piedi prima della preghiera. Una tenda posta di fronte alla cattedrale con la cupola del Brunelleschi, e a lato del Battistero con le porte d'oro del Ghiberti. Una tenda, infine, arredata come un rozzo appartamentino: sedie, tavolini, chaise-longues, materassi per dormire e per scopare, fornelli per cuocere il cibo e appestare la piazza col fumo e col puzzo.

E, grazie alla consueta incoscienza dell'Enel che alle nostre opere d'arte tiene quanto tiene al nostro paesaggio, fornita di luce elettrica. Grazie a un radio-registratore, arricchita dalla vociaccia sguaiata d'un muezzin che puntualmente esortava i fedeli, assordava gli infedeli, e soffocava il suono delle campane.

Insieme a tutto ciò, le gialle strisciate di urina che profanavano i marmi del Battistero. (Perbacco! Hanno la gettata lunga, questi figli di Allah! Ma come facevano a colpire l'obiettivo separato dalla ringhiera di protezione e quindi distante quasi due metri dal loro apparato urinario?)

Con le gialle strisciate di urina, il fetore dello sterco che bloccava il portone di San Salvatore al Vescovo: la squisita chiesa romanica (anno Mille) che sta alle spalle di piazza del Duomo e che i figli di Allah avevano trasformato in cacatoio. Lo sai bene.

Lo sai bene perché fui io a chiamarti, pregarti di parlarne sul "Corriere", ricordi? Chiamai anche il sindaco che, glielo concedo, venne gentilmente a casa mia. Mi ascoltò, mi dette ragione. "Ha ragione, ha proprio ragione..." Ma la tenda non la tolse.

Se ne dimenticò o non gli riuscì. Chiamai anche il ministro degli Esteri che era un fiorentino, anzi uno di quei fiorentini che parlano con l'accento molto fiorentino, nonché coinvolto nella faccenda. E pure lui, glielo concedo, mi ascoltò. Mi dette ragione: "Eh, sì. Ha ragione, sì".

Ma per toglier la tenda non mosse un dito e, quanto ai figli di Allah che urinavano sul Battistero e smerdavano San Salvatore al Vescovo, presto li accontentò. (Mi risulta che i babbi e le mamme e i fratelli e le sorelle e gli zii e le zie e i cugini e le cognate incinte ora stiano dove volevano stare). Cioè a Firenze e in altre città d'Europa. Allora cambiai sistema. Chiamai un simpatico poliziotto che dirige l'ufficio-sicurezza e gli dissi: "Caro poliziotto, io non sono un politico.

Quando dico di fare una cosa, la faccio. Inoltre conosco la guerra e di certe cose me ne intendo. Se entro domani non levate la fottuta tenda, io la brucio. Giuro sul mio onore che la brucio, che neanche un reggimento di carabinieri riuscirebbe a impedirmelo, e per questo voglio essere arrestata. Portata in galera con le manette. Così finisco su tutti i giornali". Bè, essendo più intelligente degli altri, nel giro di poche ore lui la levò.

Al posto della tenda rimase soltanto un'immensa e disgustosa macchia di sudiciume. Però fu una vittoria di Pirro. Lo fu in quanto non influì per niente sugli altri scempi che da anni feriscono e umiliano quella che era la capitale dell'arte e della cultura e della bellezza, non scoraggiò per niente gli altri arrogantissimi ospiti della città: gli albanesi, i sudanesi, i bengalesi, i tunisini, gli algerini, i pakistani, i nigeriani che con tanto fervore contribuiscono al commercio della droga e della prostituzione a quanto pare non proibito dal Corano. Eh, sì: sono tutti dov'erano prima che il mio poliziotto togliesse la tenda. Dentro il piazzale degli Uffizi, ai piedi della Torre di Giotto.

Dinanzi alla Loggia dell'Orcagna, intorno alle Logge del Porcellino. Di faccia alla Biblioteca Nazionale, all'entrata dei musei. Sul Ponte Vecchio dove ogni tanto si pigliano a coltellate o a revolverate. Sui Lungarni dove hanno preteso e ottenuto che il Municipio li finanziasse (Sissignori, li finanziasse). Sul sagrato della Chiesa di San Lorenzo dove si ubriacano col vino e la birra e i liquori, razza di ipocriti, e dove dicono oscenità alle donne. (La scorsa estate, su quel sagrato, le dissero perfino a me che ormai sono un'antica signora. E va da sé che mal gliene incolse.

Oooh, se mal gliene incolse! Uno sta ancora lì a mugulare sui suoi genitali). Nelle storiche strade dove bivaccano col pretesto di vender-la-merce. Per merce intendi borse e valige copiate dai modelli protetti da brevetto, quindi illegali, gigantografie, matite, statuette africane che i turisti ignoranti credono sculture del Bernini, roba-da-annusare. ("Je connais mes droits, conosco i miei diritti" mi sibilò, sul Ponte Vecchio, uno a cui avevo visto vendere la roba-da-annusare).

E guai se il cittadino protesta, guai se gli risponde quei-diritti-vai-ad-esercitarli-a-casa-tua. "Razzista, razzista!". Guai se camminando tra la merce che blocca il passaggio un pedone gli sfiora la presunta scultura del Bernini. "Razzista, razzista!". Guai se un Vigile Urbano gli si avvicina, azzarda: "Signor figlio di Allah, Eccellenza, le dispiacerebbe spostarsi un capellino e lasciar passare la gente?". Se lo mangiano vivo. Lo aggrediscono col coltello. Come minimo, gli insultano la mamma e la progenie. "Razzista, razzista!". E la gente sopporta, rassegnata.

Non reagisce nemmeno se gli gridi ciò che il mio babbo urlava durante il fascismo: "Ma non ve ne importa nulla della dignità? Non ce l'avete un po' d'orgoglio, pecoroni?". Succede anche nelle altre città, lo so. A Torino, per esempio. Quella Torino che fece l'Italia e che ormai non sembra nemmeno una città italiana. Sembra Algeri, Dacca, Nairobi, Damasco, Beirut. A Venezia. Quella Venezia dove i piccioni di piazza San Marco sono stati sostituiti dai tappetini con la "merce" e perfino Otello si sentirebbe a disagio. A Genova.

Quella Genova dove i meravigliosi palazzi che Rubens ammirava tanto sono stati sequestrati da loro e deperiscono come belle donne stuprate. A Roma. Quella Roma dove il cinismo della politica d'ogni menzogna e d'ogni colore li corteggia nella speranza d'ottenerne il futuro voto, e dove a proteggerli c'è lo stesso Papa. (Santità, perché in nome del Dio Unico non se li prende in Vaticano?

A condizione che non smerdino anche la Cappella Sistina e le statue di Michelangelo e i dipinti di Raffaello: sia chiaro). Mah! Ora son io che non capisco. Anziché figli-di-Allah in Italia li chiamano "lavoratori stranieri". Oppure "mano-d'opera-di-cui-v'è-bisogno". E sul fatto che alcuni di loro lavorino, non ho alcun dubbio. Gli italiani son diventati talmente signorini.

Vanno in vacanza alle Seychelles, vengon a New York per comprare i lenzuoli da Bloomingdale's. Si vergognano a fare gli operai e i contadini, e non puoi più associarli col proletariato. Ma quelli di cui parlo, che lavoratori sono? Che lavoro fanno? In che modo suppliscono al bisogno della mano d'opera che l'ex proletariato italiano non fornisce più? Bivaccando nella città col pretesto della merce-da-vendere? Bighellonando e deturpando i nostri monumenti?

Pregando cinque volte al giorno? E poi c'è un'altra cosa che non capisco. Se davvero son tanto poveri, chi glieli dà i soldi per il viaggio sulla nave o sul gommone che li porta in Italia? Chi glieli dà i dieci milioni a testa (come minimo dieci milioni) necessari a comprarsi il biglietto? Non glieli darà mica Usama Bin Laden allo scopo d'avviare una conquista che non è solo una conquista di anime, è anche una conquista di territorio?

Bè, anche se non glieli dà, questa faccenda non mi convince. Anche se i nostri ospiti sono assolutamente innocenti, anche se fra loro non c'è nessuno che vuole distruggermi la Torre di Pisa o la Torre di Giotto, nessuno che vuol mettermi il chador, nessuno che vuol bruciarmi sul rogo di una nuova Inquisizione, la loro presenza mi allarma. Mi incute disagio.

E sbaglia chi questa faccenda la prende alla leggera o con ottimismo. Sbaglia, soprattutto, chi paragona l'ondata migratoria che s'è abbattuta sull'Italia e sull'Europa con l'ondata migratoria che si rovesciò sull'America nella seconda metà dell'Ottocento anzi verso la fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento.

Ora ti dico perché. Non molto tempo fa mi capitò di captare una frase pronunciata da uno dei mille presidenti del Consiglio di cui l'Italia s'è onorata in pochi decenni. "Eh, anche mio zio era un emigrante! Io lo ricordo mio zio che con la valigetta di fibra partiva per l'America!". O qualcosa del genere.

Eh, no, caro mio. No. Non è affatto la stessa cosa. E non lo è per due motivi abbastanza semplici. Il primo è che nella seconda metà dell'Ottocento l'ondata migratoria in America non avvenne in maniera clandestina e per prepotenza di chi la effettuava. Furono gli americani stessi a volerla, sollecitarla.

E per un preciso atto del Congresso. "Venite, venite, ché abbiamo bisogno di voi. Se venite, vi si regala un bel pezzo di terra". Ci hanno fatto anche un film, gli americani. Quello con Tom Cruise e Nicole Kidman, e del quale m'ha colpito il finale. La scena dei disgraziati che corrono per piantare la bandierina bianca sul terreno che diventerà loro, sicché solo i più giovani e i più forti ce la fanno. Gli altri restano con un palmo di naso e alcuni nella corsa muoiono.

Ch'io sappia, in Italia non c'è mai stato un atto del Parlamento che invitasse anzi sollecitasse i nostri ospiti a lasciare i loro paesi. Venite-venite-ché-abbiamo-tanto-bisogno-di-voi, se-venite-vi-regaliamo-il-poderino-nel-Chianti. Da noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti gommoni e in barba ai finanzieri che cercavano di rimandarli indietro.

Più che d'una emigrazione s'è trattato dunque d'una invasione condotta all'insegna della clandestinità. Una clandestinità che disturba perché non è mite e dolorosa. È arrogante e protetta dal cinismo dei politici che chiudono un occhio e magari tutti e due. Io non dimenticherò mai i comizi con cui l'anno scorso i clandestini riempiron le piazze d'Italia per ottenere i permessi di soggiorno. Quei volti distorti, cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi.

Quelle voci irose che mi riportavano alla Teheran di Khomeini. Non li dimenticherò mai perché mi sentivo offesa dalla loro prepotenza in casa mia, e perché mi sentivo beffata dai ministri che ci dicevano: "Vorremmo rimpatriarli ma non sappiamo dove si nascondono".

Stronzi! In quelle piazze ve n'erano migliaia, e non si nascondevano affatto. Per rimpatriarli sarebbe bastato metterli in fila, prego-gentile-signore-s'accomodi, e accompagnarli ad un porto od aeroporto.

Il secondo motivo, caro nipote dello zio con la valigetta di fibra, lo capirebbe anche uno scolaro delle elementari. Per esporlo bastano un paio di elementi. Uno: l'America è un continente.

E nella seconda metà dell'Ottocento cioè quando il Congresso Americano dette il via all'immigrazione, questo continente era quasi spopolato. Il grosso della popolazione si condensava negli stati dell'Est ossia gli stati dalla parte dell'Atlantico, e nel Mid-West c'era ancora meno gente.

La California era quasi vuota. Beh, l'Italia non è un continente. È un paese molto piccolo e tutt'altro che spopolato. Due: l'America è un paese assai giovane. Se pensi che la Guerra d'Indipendenza si svolse alla fine del 1700, ne deduci che ha appena duecento anni e capisci perché la sua identità culturale non è ancora ben definita. L'Italia, al contrario, è un paese molto vecchio.

La sua storia dura da almeno tremila anni. La sua identità culturale è quindi molto precisa e bando alle chiacchiere: non prescinde da una religione che si chiama religione cristiana e da una chiesa che si chiama Chiesa Cattolica.

La gente come me ha un bel dire: io-con-la-chiesa-cattolica-non-c'entro. C'entro, ahimé c'entro. Che mi piaccia o no, c'entro. E come farei a non entrarci? Sono nata in un paesaggio di chiese, conventi, Cristi, Madonne, Santi. La prima musica che ho udito venendo al mondo è stata la musica della campane.

Le campane di Santa Maria del Fiore che all'Epoca della Tenda la vociaccia sguaiata del muezzin soffocava. È in quella musica, in quel paesaggio, che sono cresciuta. È attraverso quella musica e quel paesaggio che ho imparato cos'è l'architettura, cos'è la scultura, cos'è la pittura, cos'è l'arte. È attraverso quella chiesa (poi rifiutata) che ho incominciato a chiedermi cos'è il Bene, cos'è il Male, e perdio...

Ecco: vedi? Ho scritto un'altra volta "perdio". Con tutto il mio laicismo, tutto il mio ateismo, son così intrisa di cultura cattolica che essa fa addirittura parte del mio modo d'esprimermi. Oddio, mioddio, graziaddio, perdio, Gesù mio, Dio mio, Madonna mia, Cristo qui, Cristo là.

Mi vengon così spontanee, queste parole, che non m'accorgo nemmeno di pronunciarle o di scriverle. E vuoi che te la dica tutta? Sebbene al cattolicesimo non abbia mai perdonato le infamie che m'ha imposto per secoli incominciando dall'Inquisizione che m'ha pure bruciato la nonna, povera nonna, sebbene coi preti io non ci vada proprio d'accordo e delle loro preghiere non sappia proprio che farne, la musica delle campane mi piace tanto. Mi accarezza il cuore.

Mi piacciono pure quei Cristi e quelle Madonne e quei Santi dipinti o scolpiti. Infatti ho la mania delle icone. Mi piacciono pure i monasteri e i conventi. Mi danno un senso di pace, a volte invidio chi ci sta. E poi ammettiamolo: le nostre cattedrali son più belle delle moschee e delle sinagoghe.

Si o no? Sono più belle anche delle chiese protestanti. Guarda, il cimitero della mia famiglia è un cimitero protestante. Accoglie i morti di tutte le religioni ma è protestante. E una mia bisnonna era valdese. Una mia prozia, evangelica. La bisnonna valdese non l'ho conosciuta. La prozia evangelica, invece, sì. Quand'ero bambina mi portava sempre alle funzioni della sua chiesa in via de' Benci a Firenze, e... Dio, quanto m'annoiavo!

Mi sentivo talmente sola con quei fedeli che cantavano i salmi e basta, quel prete che non era un prete e leggeva la Bibbia e basta, quella chiesa che non mi sembrava una chiesa e che a parte un piccolo pulpito aveva un gran crocifisso e basta. Niente angeli, niente Madonne, niente incenso...

Mi mancava perfino il puzzo dell'incenso, e avrei voluto trovarmi nella vicina basilica di Santa Croce dove queste cose c'erano. Le cose cui ero abituata. E aggiungo: nella mia casa di campagna, in Toscana, v'è una minuscola cappella. Sta sempre chiusa. Dacché la mamma è morta non ci va nessuno.

Però a volte ci vado, a spolverare, a controllare che i topi non ci abbiano fatto il nido, e nonostante la mia educazione laica mi ci trovo a mio agio. Nonostante il mio mangiapretismo, mi ci muovo con disinvoltura. E credo che la stragrande maggioranza degli italiani ti confesserebbe la medesima cosa. (A me la confessò Berlinguer). Santiddio! (Ci risiamo).

Sto dicendoti che noi italiani non siamo nelle condizioni degli americani: mosaico di gruppi etnici e religiosi, guazzabuglio di mille culture, nel medesimo tempo aperti ad ogni invasione e capaci di respingerla.

Sto dicendoti che, proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un'ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell'altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori.

Sto dicendoti che da noi non c'è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l'Italia. E io l'Italia non gliela regalo.

Io sono italiana. Sbagliano gli sciocchi che mi credono ormai americana. Io la cittadinanza americana non l'ho mai chiesta. Anni fa un ambasciatore americano me la offrì sul Celebrity Status, e dopo averlo ringraziato gli risposi: "Sir, io all'America sono assai legata. Ci litigo sempre, la rimprovero sempre, eppure le sono profondamente legata.

L'America è per me un amante anzi un marito al quale resterò sempre fedele. Ammesso che non mi faccia le corna. Voglio bene a questo marito. E non dimentico mai che se non si fosse scomodato a fare la guerra a Hitler e Mussolini, oggi parlerei tedesco.

Non dimentico mai che se non avesse tenuto testa all' Unione Sovietica, oggi parlerei russo. Gli voglio bene e m'è simpatico. Mi piace ad esempio il fatto che quando arrivo a New York e porgo il passaporto col Certificato di Residenza, il doganiere mi dica con un gran sorriso: Welcome home. Benvenuta a casa. Mi sembra un gesto così generoso, così affettuoso. Inoltre mi ricorda che l'America è sempre stata il Refugium Peccatorum della gente senza patria. Ma io la patria ce l'ho già, Sir.

La mia Patria è l'Italia, e l'Italia è la mia mamma. Sir, io amo l'Italia. E mi sembrerebbe di rinnegare la mia mamma a prendere la cittadinanza americana". Gli risposi anche che la mia lingua è l'italiano, che in italiano scrivo, che in inglese mi traduco e basta. Nello stesso spirito in cui mi traduco in francese, cioè sentendolo una lingua straniera. E poi gli risposi che quando ascolto l'Inno di Mameli mi commuovo. Che a udire quel Fratelli-d'Italia, l'Italia-s'è-desta, parapà-parapà-parapà, mi viene il nodo alla gola. Non mi accorgo nemmeno che come inno è bruttino. Penso solo: è l'inno della mia Patria.

Del resto il nodo alla gola mi vien pure a guardare la bandiera bianca rossa e verde che sventola. Teppisti degli stadi a parte, s'intende. Io ho una bandiera bianca rossa e verde dell'Ottocento. Tutta piena di macchie, macchie di sangue, tutta rosa dai topi. E sebbene al centro vi sia lo stemma sabaudo (ma senza Cavour e senza Vittorio Emanuele II e senza Garibaldi che a quello stemma si inchinò noi l'Unità d'Italia non l'avremmo fatta), me la tengo come l'oro.

La custodisco come un gioiello. Siamo morti per quel tricolore, Cristo! Impiccati, fucilati, decapitati. Ammazzati dagli austriaci, dal Papa, dal Duca di Modena, dai Borboni. Ci abbiamo fatto il Risorgimento, col quel tricolore. E l'Unità d'Italia, e la guerra sul Carso, e la Resistenza.

Per quel tricolore il mio trisnonno materno Giobatta combatté a Curtatone e Montanara, rimase orrendamente sfregiato da un razzo austriaco. Per quel tricolore i miei zii paterni sopportarono ogni pena dentro le trincee del Carso. Per quel tricolore mio padre venne arrestato e torturato a Villa Triste dai nazi-fascisti. Per quel tricolore la mia intera famiglia fece la Resistenza e l'ho fatta anch'io. Nelle file di Giustizia e Libertà, col nome di battaglia Emilia.

Avevo quattordici anni. Quando l'anno dopo mi congedarono dall'Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, mi sentii così fiera. Gesummaria, ero stata un soldato italiano! E quando venni informata che col congedo mi spettavano 14.540 lire, non sapevo se accettarle o no. Mi pareva ingiusto accettarle per aver fatto il mio dovere verso la Patria. Poi le accettai. In casa eravamo tutti senza scarpe.

E con quei soldi ci comprai le scarpe per me e per le mie sorelline. Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l'Italia d'oggi. L'Italia godereccia, furbetta, volgare degli italiani che pensano solo ad andare in pensione prima dei cinquant'anni e che si appassionano solo per le vacanze all'estero o le partite di calcio.

L'Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la mano a un divo o una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di Beirut ma se i kamikaze di Usama Bin Laden riducono migliaia di newyorchesi a una montagna di cenere che sembra caffè macinato sghignazzan contenti bene-agli-americani-gli-sta-bene.

L'Italia squallida, imbelle, senz'anima, dei partiti presuntuosi e incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di ministro o di sindaco. L'Italia ancora mussolinesca dei fascisti neri e rossi che ti inducono a ricordare la terribile battuta di Ennio Flaiano: "In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti".

Non è nemmeno l'Italia dei magistrati e dei politici che ignorando la consecutio-temporum pontificano dagli schermi televisivi con mostruosi errori di sintassi. (Non si dice "Credo che è": animali! Si dice "Credo che sia").

Non è nemmeno l'Italia dei giovani che avendo simili maestri affogano nell'ignoranza più scandalosa, nella superficialità più straziante, nel vuoto. Sicché agli errori di sintassi loro aggiungono gli errori di ortografia e se gli domandi chi erano i Carbonari, chi erano i liberali, chi era Silvio Pellico, chi era Mazzini, chi era Massimo D'Azeglio, chi era Cavour, chi era Vittorio Emanuele II, ti guardano con la pupilla spenta e la lingua pendula.

Non sanno nulla al massimo sanno recitare la comoda parte degli aspiranti terroristi in tempo di pace e di democrazia, sventolare le bandiere nere, nasconder la faccia dietro i passamontagna, i piccoli sciocchi. Gli inetti. E tantomeno è l'Italia delle cicale che dopo aver letto questi appunti mi odieranno per aver scritto la verità. Tra una spaghettata e l'altra mi malediranno, mi augureranno d'essere uccisa dai loro protetti cioè da Usama Bin Laden.

No, no: la mia Italia è un'Italia ideale. È l'Italia che sognavo da ragazzina, quando fui congedata dall'Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, ed ero piena di illusioni. Un'Italia seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole di rispetto. E quest'Italia, un'Italia che c'è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade. Perché, che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Usama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem.

Col che ti saluto affettuosamente, caro il mio Ferruccio, e t'avverto: non chiedermi più nulla. Meno che mai, di partecipare a risse o a polemiche vane. Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato. La coscienza pulita e l'età me l'hanno consentito. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta.

Oriana Fallaci
15 settembre 2006

Come scrivere un Curriculum Vitae efficace

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Come scrivere un CV efficace: guida alla composizione del Curriculum Vitae, ovvero tutto quello che dovete sapere per risparmiare al vostro curriculum un'ingrata cestinatura!

Vi presentiamo il ponte tra voi e il mondo del lavoro, la chiave d'accesso al vostro futuro: il CURRICULUM VITAE, dal latino "corso della vita".

Perché è proprio questo che deve descrivere: i fatti più importanti della vostra vita e della vostra carriera, che consentiranno a chi li legge di coniugare le esigenze della propria azienda con le caratteristiche offerte dalla preparazione professionale e dai titoli di studio riportati nel curriculum.

E' una sorta di IPNOSI che dovete effettuare sul datore di lavoro, in cui è importante la giusta sistemazione degli aspetti presentati nel curriculum per delineare, riga dopo riga, la vostra persona. Ecco perché chi lo riceve non deve interrompersi dopo poche parole dall'inizio.

Ed ecco perché esistono trucchetti collaudati che permettono di evitare alcuni errori che altri prima di voi hanno compiuto. Come in tutti gli aspetti della vita umana, dovrete agire nel rispetto di certi "codici virtuali" di interazione tra le persone. E questo accade soprattutto in ambito professionale.

Siamo vittime della tirannia delle parole? Certo, ma se siete in grado di usarle diventano preziosissimi alleati nella gestione dei rapporti umani. E se proprio siete più abili a parole piuttosto che a scritti, il resto lo dimostrerete al colloquio... dunque è indispensabile arrivarci!

Premessa alla guida al CV

Per essere efficace, il curriculum deve essere facilmente comprensibile, completo ma sintetico, originale e sempre aggiornato.

E' importante che sia schematico piuttosto che discorsivo, per consentire al datore di lavoro di selezionare direttamente le parti che gli interessano per la lettura. Non tutto deve entrare a far parte del curriculum, ma soprattutto ciò che è necessario per tracciare l'immagine di sé che si vuole dare.

Non esiste niente di universalmente interessante o meno: notizie apparentemente marginali, se hanno attinenza con il lavoro per il quale ci si propone, diventano importanti.

Calcolate che il tempo di un professionista è prezioso, eliminate tutto il superfluo: voi, per il datore di lavoro non dovete rappresentare una perdita di tempo, dato che vede in voi un potenziale interesse economico, giusto?

Condensate il tutto in due fogli soltanto. Possono sintetizzare tutto ciò che serve. Altrimenti cosa vi rimane da dire a voce? E' certamente meglio indurre il lettore a proseguire nella lettura di due fogli che farlo abbandonare per la noia dopo poche righe soltanto.

Essendo letto in vostra assenza, è fondamentale che i dati immessi siano chiari ed esaurienti, non devono far nascere dubbi. Vi state giocando la carta della prima impressione che eserciterete sul destinatario e si sa, che non è quella che conta, ma chissà perché, se negativa, è sempre la più difficile da scalzare.

Oltre che convincenti, le notizie devono essere vere e verificabili: si può cercare il modo migliore per esporre le proprie esperienze ma non inventarle, anche perché al momento del colloquio (o peggio, durante il periodo di prova) si verrebbe probabilmente smascherati.
Sarebbe una perdita di tempo per tutti.

E' preferibile piuttosto dimostrarsi disposti ad imparare, ammettendo le proprie mancanze ma anche il desiderio di correggerle.

Il curriculum è un documento aperto e dinamico, pertanto è necessario mantenerlo aggiornato con i progressi ottenuti in ogni campo e modificarlo in modo adatto ad ogni occasione, tenendo conto dell'impiego a cui si aspira e del tipo di azienda. Per risparmiare tempo, si terrà un testo base comune sottoposto ad aggiunte o tagli.

Grafica ed impaginazione sono aspetti sicuramente importanti, se non quanto i contenuti, almeno per valorizzare questi ultimi al meglio. Una buona grafica rende più piacevole la lettura e dà l'idea di una persona attenta ai particolari.

Il curriculum vitae in pratica

Nella pratica il curriculum va scritto con Personal Computer o con una macchina da scrivere su fogli A4, bianchi, senza righe, quadretti o margini. Per evidenziare le informazioni più importanti o per dare risalto a certi aspetti della propria esperienza è consigliabile usare il grassetto o la sottolineatura: è meglio evitare le scritte di colore diverso perché danno al testo un'aria meno "affidabile".

Anche se è più costoso è decisamente meglio inviare stampe originali e non fotocopie, rende l'idea di un'attenzione mirata per la ditta che riceve il curriculum; ci si dimostra maggiormente motivati. E poi è più costoso, ma è sicuramente peggio non ottenere il posto di lavoro!

La disposizione delle informazioni nel curriculum è solitamente in forma di paragrafi con titolo che dividono i tre gruppi principali: dati anagrafici, esperienze professionali e titoli di studio.

Si può anche organizzare l'informazione sotto forma di tabelle o di elenchi puntati. Comunque si organizzi l'informazione lo scopo è quello di dirigere l'attenzione del lettore nei punti di maggiore interesse.

Curriculum Vitae europeo da compilare gratis

Negli ultimi anni, molte aziende e istituzioni che operano a livello europeo chiedono ai candidati di inviare il proprio curriculum nel formato “CV europeo”.

L'Europass Curriculum Vitae (ex Curriculum Vitae Europeo) è un modello standardizzato di cv che offre ai candidati la possibilità di presentare in modo chiaro e completo l'insieme delle informazioni relative alle proprie qualifiche e competenze, uniformando la presentazione di titoli di studio, esperienze lavorative e competenze individuali.

In questo modo è più facile, per chi si occupa del reclutamento, confrontare le varie competenze (sia tra candidati della stessa nazionalità sia da Paesi diversi) con l’uso dello stesso layout standard e degli stessi tipi di contenuti.

Se volete un modello di curriculum vitae europeo pronto da compilare, ecco un modello già pronto in formato Word, che potete scaricare subito gratis e compilare con le vostre informazioni.

Presentare correttamente i dati anagrafici

Utilizzate la forma impersonale: non "Il sottoscritto, Claudio Veronese", ma "Claudio
Veronese". Esempio di disposizione dei dati anagrafici:

Dati anagrafici:

  • Claudio VERONESE
  • Modena, 10/5/1967
  • Via Galliera, 7
  • 40100 BOLOGNA
  • Telefono: 051/273458

Il cognome deve essere scritto in maiuscolo vicino al nome, senza titoli.

Luogo e data di nascita: se il luogo di nascita è una provincia, bisogna indicare, tra parentesi tonde, la sigla del capoluogo cui appartiene. Se si è nati in un paese straniero, bisogna riportare il nome della nazione estera.

Indirizzo: il nome della strada e il numero civico precedono l'indicazione della città, che deve essere scritta in lettere maiuscole e preceduta dal CAP riportando anche un eventuale domicilio temporaneo.

Telefono: se si è spesso fuori casa, è meglio indicare un altro eventuale recapito
(esempio il numero dell'ufficio, oppure del cellulare).

Stato civile: celibe o nubile, coniugato/a, vedovo/a. E' richiesto per valutare a priori la
possibilità di trasferimenti, spostamenti, viaggi di lavoro. Può essere un'indicazione utile quella riguardante nome, cognome e professione del coniuge (coniugato con Giorgia ROSSI, avvocato) e numero di figli ed età (esempio, 2 figli, 3 e 5 anni).

Posizione militare (richiesta per uomini al di sotto dei trent'anni): indicare se si è svolto il
servizio militare, il periodo, l'arma, il Comune e il grado al congedo (Posizione militare: assolto, dicembre 1996/dicembre 1997, Fanteria, tenente), in alternativa indicare se si è svolto servizio civile (Posizione militare: settembre 1994/settembre 1995, servizio civile presso il Comune di Bologna, assistenza disabili) o se si è stati esonerati (Posizione militare: esonerato).

Nazionalità: deve essere indicata solo se è diversa da quella italiana o se è doppia, indicando se la doppia è stata conseguita con il matrimonio.

Fotografia/dati fisici: salvo che non sia espressamente richiesta per lavori dove il contatto con il pubblico è fondamentale, è preferibile non inserire indicazioni sui dati fisici e fotografie.

Esperienze professionali: disposizione e redazione delle esperienze di lavoro svolte

È sempre consigliabile specificare l'anno in cui si è conseguito un titolo di studio, si è
partecipato a un corso, o stage e il periodo in cui si è svolta ogni esperienza lavorativa.

In particolare per ciò che riguarda le esperienze professionali, si possono disporre in ordine
cronologico dalla più distante nel tempo alla più recente, o viceversa.

Per ogni esperienza lavorativa effettuata si dovrà indicare il periodo, il nome dell'azienda, il settore di attività della stessa, la mansione svolta al suo interno ed eventuali obiettivi aziendali fissati e raggiunti (esempio: incremento produzione del 2%).

L'eventuale motivo delle proprie dimissioni non va riportato, se ne discuterà eventualmente in fase di colloquio (anche perché a volte non è così immediato e le motivazioni sono piuttosto complesse... ). Stessa cosa vale per le richieste economiche, meglio parlarne a voce.

E' importante non fornire informazioni riservate sull'azienda per la quale si è lavorato: un
tradimento lavorativo non è tanto diverso da quello sentimentale: se si è commesso una volta perché non si dovrebbe commettere una seconda? Il datore di lavoro potrebbe supporre che il tradimento sia impresso nel vostro patrimonio genetico...

Tante più esperienze professionali si accumulano, tanto più quelle stagionali e saltuarie
(importanti invece per chi non ha altre esperienze da citare) si possono eliminare.

Ricordarsi di citare eventuali stages, o periodi di praticantato presso studi privati.
Indicare la disponibilità a viaggi e trasferimenti in Italia o all'estero, il tipo di patente posseduta e il possesso o meno di auto propria (necessaria per certi tipi di lavoro).

Istruzione: Titoli di studio

La parte riguardante i titoli di studio conseguiti è particolarmente importante per chi è alla
ricerca di una prima occupazione o ha svolto esclusivamente lavori occasionali che non
centrano nulla con ciò che si vuole fare nella vita.

L'ordine di presentazione dei titoli è cronologico.
Il diploma di scuola media inferiore e relativa votazione vanno indicati solamente se sono gli unici titoli di cui si è in possesso. Altrimenti sono sufficienti il diploma di scuola media
superiore, la laurea (con relativo indirizzo frequentato e il titolo della tesi), le borse di studioottenute (con anno, luogo, ente erogatore e oggetto della borsa) e i corsi frequentati (corsi di specializzazione o di formazione professionale).

Accanto a ogni titolo di studio, occorre precisare l'anno di ottenimento, il titolo conseguito, la città e la votazione (se buona).

Per esempio:

(1985, Diploma di Maturità, Liceo Classico, Bologna, votazione 60/60
1990, Laurea in Ingegneria Meccanica, Università di Bologna, votazione 110/110 e lode
1991, Corso di specializzazione in "Micromeccanica", Università di Bologna)

Le votazioni generalmente vanno inserite, ma se sono basse si possono anche tralasciare. Non vedendole al destinatario potrà venire il dubbio che siano basse, ma in questi casi il dubbio è preferibile ad una certezza negativa. Perché rischiare di essere scartati in partenza, se si è adatti ad un posto di lavoro, magari solo perché durante l'esame di maturità ci si è bloccati?

(Esempio: non "1990, Diploma di Ragioneria, votazione 36/60", ma "1990, Diploma di
Ragioneria". Suona così bene... )

Per quanto riguarda eventuali studi interrotti, sono importanti se hanno fornito comunque conoscenze aggiuntive rispetto a quelle già indicate o un interesse per certe materie. Nel caso si venga poi contattati per il colloquio ci si dovrà comunque aspettare la domanda sul perché dell'interruzione. Cominciate già adesso a prepararvi la risposta...

È importante indicare se si è superato l'esame di Stato previsto per la propria categoria
professionale. Si potrà inserire una speciale categoria "Premi/Onorificenze" nel caso si abbia la fortuna di possederne.

Il trucco è quello di dare rilievo ai successi ottenuti e sorvolare sugli insuccessi, a meno che non si tratti di informazioni fondamentali.

Conoscenza delle lingue straniere

Le informazioni riguardanti le lingue straniere si possono includere nella parte dedicata
all'istruzione o possono costituire capitolo a sé, dipende fondamentalmente dal grado di conoscenza.

La scala dei valori di riferimento che si utilizza, generalmente è: madrelingua, ottimo, buono, discreto, scolastico, distinguendo l'eventuale differenza tra il livello scritto e quello parlato.

Se una delle lingue è in corso di perfezionamento, lo si può indicare accanto allo stato di
conoscenza attuale della lingua, dimostrando così una volontà di miglioramento e di studio costante.

E' importante riportare eventuali soggiorni di studio o lavoro all'estero (solo se strettamente legati all'apprendimento della lingua, non per motivi di piacere), indicando il tipo di esperienza, la durata, il titolo conseguito ed eventuali ulteriori certificazioni e punteggi.

Le competenze informatiche

Anche le conoscenze informatiche costituiranno capitolo a sé -a seguito dei titoli di studio tanto più sono estese e tanto più se ne dovrà fornire una descrizione dettagliata.

Se invece non sono particolarmente approfondite, sarà sufficiente riportarle al termine della sezione riguardante i titoli di studio (conoscenza dei programmi di videoscrittura, dattilografia, corsi di informatica, ecc...)

Le informazioni informatiche base riguardano la conoscenza dei sistemi operativi (Window, Linux, MacOS...), dei programmi Microsoft per l'ufficio (Word, Excel, PowerPoint Access...) e la conoscenza di Internet e posta elettronica.

A seguire tutti i programmi fondamentali o tipici della propria area professionale.

Alcuni suggerimenti per descrivere i propri interessi nel CV

Questa parte va a completare il quadro della persona delineato nelle sezioni precedenti.
Aiuterà il destinatario a capire meglio la persona nella sua totalità, com'è al di fuori delle otto ore lavorative.

Qui si possono indicare anche eventuali corsi o hobbies non attinenti al tipo di lavoro ricercato, che rendono l'idea delle aree di interesse della persona e della sua adattabilità a diversi ambienti, senza bombardare il destinatario che arriverebbe altrimenti a chiedersi "ma rimarrà del tempo da dedicare al lavoro?"

Egli finirebbe per immaginare un lavoratore che ogni venerdì si presenta al lavoro con i boxer hawaiani e con la vela nel portabagagli e chiede mezza giornata di ferie con la scusa di dover portare la nonna dall'otorino 🙂

Attenzione anche al pericolo contrario, quello di dare notizie troppo generiche e banali, che "scivolano via". Meglio "Hobby: teatro d'avanguardia; trekking, pallacanestro" di "Hobby: interesse per il teatro e per lo sport".

Può essere utile, in questa sezione, fornire anche alcune informazioni sulla capacità di lavorare autonomamente, sulla propria predisposizione al contatto col pubblico e sulle proprie capacità organizzative.

Si possono citare esperienze di coordinamento di gruppi o lavori in squadra.

Quando scrivere il Curriculum in lingua straniera

Per certe ditte con sede anche all'estero o per andare a lavorare al di fuori del territorio
italiano, è necessario scrivere il curriculum anche in lingua straniera. Valgono le regole seguite per quello scritto in italiano, ma è meglio documentarsi per sapere se servono parti non richieste generalmente in Italia.

Ad esempio per gli Usa sarà sicuramente più importante la parte di "Degrees" e quella delle "Recognitions" che notoriamente, negli Stati Uniti, sono strumenti fondamentali per proporsi alle aziende.

Attenzione alla correttezza di quello che lasciate impresso su carta bianca, che già è difficile da controllare nella propria lingua madre.

Consigli pratici per fare un curriculum perfetto

In questa parte potrete sbizzarrirvi su aspetti che avete tralasciato nel resto del curriculum.
Attenzione però a non vanificare in poche righe tutto l'impegno che ci avete messo nel resto della domanda di lavoro!

Trascorsa una settimana circa dalla spedizione della lettera e del curriculum, si potrà telefonare o presentarsi di persona, chiedendo se hanno ricevuto la vostra domanda di lavoro e se sono interessati a sottoporvi a colloquio.

E' importante concludere il curriculum fornendo l'autorizzazione all'utilizzo dei dati secondo la legge 675/96 per la tutela della privacy.

Ora avete in mano tutto gli strumenti, nel dettaglio, per fare un CV efficace. Ma ricordate che il curriculum, essenzialmente, risponde a tre leggi soltanto:

  • siate stimolanti
  • senza inganno
  • nel minor spazio possibile

Bonus: la lettera di accompagnamento

Rappresenta il primissimo impatto sul datore di lavoro. A livello di esercizio di ipnosi, si tratta del momento in cui pronunciate la famosa formula "A ME GLI OCCHI". Capite quindi l'esigenza di una lettera di accompagnamento ben scritta e personalizzata secondo la ditta a cui vi rivolgete.

Leggi anche: Lettera di presentazione CV per candidatura spontanea

La lettera di accompagnamento conterrà eventuali precisazioni sulla preparazione culturale e sull'esperienza professionale, sul proprio carattere e aspirazioni. Risponde ad una domanda tanto semplice quanto essenziale: perché vorrei lavorare nella vostra ditta e perché sarei in grado di farlo.

E' qui che dovrete convincere il datore di meritare un colloquio. Per fare questo dovete
improvvisarvi psicologi e in base al tipo di azienda, capire le esigenze del destinatario e tentare di soddisfarle.

Più il destinatario proseguirà nella lettura, più le vostre probabilità di essere ricevuti a colloquio aumenteranno. Se la lettera di accompagnamento è deludente, le vostre probabilità precipiteranno; anche se con un buon curriculum, comunque, potrete sempre risollevarvi.

Dev'essere breve (1 foglio), senza formule standard, scritta a mano in buona calligrafia
(sperando che con il massimo sforzo riusciate ad ottenerla!), non fotocopiata, personalizzata per ogni tipo di ditta, non troppo colloquiale né troppo formale

Esempio:

Mi chiamo Claudio Veronese, ho 32 anni e sono laureato in Ingegneria Meccanica. Desidero sottoporLe il mio curriculum vitae...

Oppure:

Egregio Direttore del personale, di seguito le allego il mio curriculum vitae in cui descrivo le principali tappe della mia esperienza professionale e i miei titoli di studio. La prego di tenermi in considerazione per...

L'intestazione della lettera deve contenere l'indirizzo del mittente e del destinatario con il dovuto titolo professionale della persona cui si rivolge.

Se non si hanno nominativi specifici a cui indirizzare la lettera, la si può quindi inviare all'attenzione dell'Ufficio personale o dell'Ufficio tecnico, scrivendo il riferimento se si risponde ad un annuncio pubblicato dalla ditta (esempio Oggetto: Vostro Rif. 1310) o si può specificare come si è venuti a conoscenza dell'eventuale ricerca di personale.

Successivamente si spiegherà dove è nato l'interessamento per l'azienda, le eventuali referenze, si riassumeranno le proprie qualifiche e la propria evoluzione professionale in poche parole, per arrivare infine agli obiettivi.

Questi possono infatti costituire sezione a sé nel curriculum o essere presentati in questa sede. E' importante compiere un'analisi delle proprie competenze ed essere realistici sulle proprie aspirazioni, le quali devono mantenere un minimo di coerenza con le proprie capacità.

A seconda dei casi si punterà maggiormente sul fatto di avere esperienza specifica in un settore o diversificata, entrambi possono essere giocati come strumenti a proprio favore.

Si potrà riportare anche la propria disponibilità lavorativa (part-time, contratti a tempo
determinato, trasferimenti all'estero).

La lettera si concluderà con la richiesta di colloquio (ad esempio "Spero di poterLa incontrare... " o " In attesa di un Suo riscontro") e con le formule di chiusura (Cordiali saluti o Distinti saluti) e la firma autografata.

Grammatica, le nuove generazioni ci prestano attenzione? Sembra di sì!

grammatica nuove generazioni

Nel momento in cui i ragazzi delle nuove generazioni utilizzano i social, sembra che la grammatica sia ancora al centro dei loro pensieri.

Dite di no? Eppure, è veramente così, dal momento che si impegnano proprio per fare il minor numero di errori possibile.

A dirlo è un recentissimo studio che è stato portato a termine da parte del portale Skuola.net, con 4500 studenti che hanno preso parte al sondaggio, tra frequentanti non solo le scuole medie e superiori, ma anche l’università.

Lo scorso 22 ottobre si è svolto un evento davvero molto particolare, ovvero la “Giornata ProGrammatica”, iniziativa organizzata dal Miur in compagnia del Ministero degli Esteri, ma anche ASLI e CRI.

Da dove deriva la parola calcare

Secondo l'Accademia della Crusca, calcare deriva dal francese "calcaire", che a sua volta deriva dal latino calcarius, che significa "relativo alla calce". Calcare è quindi un francesismo diffusosi nell'Ottocento, il secolo in cui il francese, insieme al tedesco, era la lingua dominante nelle scienze.

In francese calcaire indica infatti sia il sostantivo ('roccia') sia l'aggettivo: terrain calcaire 'terreno calcareo'. Come aggettivo calcare ha comunque anche qualche attestazione letteraria.

L'aggettivo di calcare in italiano è calcareo.

Il calcare è quel deposito duro e bianco sporco che si trova nei bollitori, nelle caldaie ad acqua calda e all'interno delle tubazioni dell'acqua calda.

Si trova spesso anche come deposito simile sulla superficie interna di vecchi tubi e altre superfici dove l'"acqua dura" è evaporata.

Oltre ad essere antiestetico e difficile da pulire, il calcare nuoce gravemente al funzionamento o danneggia vari componenti di numerosi elettrodomestici di uso comune come lavatrici, lavastoviglie, macchine da caffè che necessitano perciò di decalcificazione, ovvero la tecnica di rimozione del calcare mediante apposite soluzioni.

Le “fila” e le “file”: il plurale

fila file

Chi di voi, gentili “navigatori”, non ha mai fatto una fila davanti a uno sportello bancario o a quello di un ufficio postale? Seguivate le file o le fila? In altre parole, cortesi amici e amatori della lingua, bisogna dire “file” o “fila”? Perché questi due plurali confondono le idee e fanno cadere in errori marchiani un po’ tutti?

Non c’è discorso in cui l’illustre oratore non inciampi nelle “fila del partito” o non inviti i suoi sostenitori a “stringere le fila” dove questo “fila” è errato. La nostra lingua, si sa, è piena di regole e sottoregole, di eccezioni e controeccezioni, ma forse è troppo ignorata anche da chi, per mestiere, non dovrebbe farlo: la stampa.

Tempo fa, su un grande giornale d’informazione, abbiamo letto un “serrare le fila” che ci ha fatto strabuzzare gli occhi. Vediamo, quindi, di fare un po’ di chiarezza.

In italiano esiste un sostantivo femminile singolare “la fila”, cioè una “serie di persone o cose più o meno allineate una dietro l’altra” (la fila all’ufficio postale, per esempio), che ha un plurale “le file”.

Diremo, perciò, che davanti a quel negozio – in occasione dei saldi – si sono formate lunghissime file (non “fila”) di persone, e che i militari rompono “le file”, rompono, cioè, il loro allineamento.

Vi è, poi, un altro sostantivo di genere maschile, “il filo”, esattamente il prodotto di una filatura (un filo di lana, di cotone, ecc.) con due plurali, uno regolare maschile e uno irregolare femminile: i fili e le fila. Il plurale più comune e, per tanto, più adoperato è quello regolare: i banditi hanno tagliato i fili del telefono; alla signora hanno rubato quattro fili di perle; si sono sfilati tutti i fili delle calze.

L’altro, quello irregolare (il femminile “le fila”), si adopera, generalmente, in senso collettivo per indicare più fili presi assieme: le fila del formaggio. Ma più spesso in senso figurato o traslato: le fila della congiura. Attenzione, quindi, amici, abbiamo “le file” del partito, dell’esercito, di un’associazione, ecc., non “le fila”.

Frasi per pensionamento: auguri per la pensione

Ecco un elenco di frasi di auguri per il pensionamento, augura la pensione in maniera divertente e intelligente.

Con sincera preoccupazione dobbiamo prendere atto del fatto che, per raggiunto merito cronologico, hai tutta l'intenzione di abbandonarci al nostro destino e dedicarti alla contemplazione e alla vita godereccia.
Dovresti sentirti tremendamente in colpa, ma siamo lieti di avere l'occasione di farti i più sinceri e cordiali complimenti per tutti questi anni di gloriosa attività, per il magnifico rapporto di collaborazione che hai creato con ciascuno di noi, per la professionalità che hai saputo trasmetterci giorno dopo giorno.
Un sincero abbraccio con il cordiale e affettuoso saluto dei colleghi più affezionati e il sincero rammarico di perdere un collaboratore prezioso.
In tutti i casi... beato te!

Si dice che nessuno è insostituibile, che tutti siamo preziosi e nessuno è indispensabile. Ma tu, con le tue bizze e le tue capacità, con il tuo caratteraccio e le tue focose idee, sei un vulcano di cui certamente sentiremo una grande mancanza.
Cerca di passare ogni tanto a salutarci, ritagliando uno spazio per noi, tra le mille idee e i mille impegni che certamente hai già pianificato per la tua... tranquilla (??!!!) pensione.

Nonostante tutto sia ormai certo, tra pochi mesi avrai il piacere di svegliarti al mattino e pensare a noi già dediti alle consuete fatiche, di viaggiare per il mondo mentre noi saremo incapsulate nel traffico mattutino per raggiungere clienti e fornitori...
Invidiosi, ma felici per te, ti abbracciamo con riconoscenza per il meraviglioso modo di lavorare che hai costruito con noi, giorno dopo giorno, in tanti anni.

In tutte le famiglie viene il momento in cui il papà inizia a fare il nonno...
Non vorremmo fare paragoni irriverenti, ma ci pare chiaro che il tuo pensionamento si possa leggere anche così...
Sei un nonno adorabile, speriamo che la tua supervisione ci accompagni con benevolenza; contiamo comunque sulle tue preziose opinioni.
Nonostante tutto ciò, goditi magnifici viaggi, rilassanti hobby e piacevoli pigri passatempi.
Ti pensiamo con affetto.

Qual è la pronuncia corretta?

Una pronuncia sbagliata è una di quelle cose che può rendere una conversazione fredda. "Scusa, cos'hai detto?" Lo chiedono, quando spesso sanno già la risposta.

E mentre ci sono un sacco di pronunce completamente sbagliate, abbiamo pensato di aggiungere alcune parole che hanno più pronunce, ma il cui significato cambia a seconda dell'accento.