Ricordi scolastici da “scancellare”
Qualche pseudo italianista, siamo sicuri, strabuzzerà gli occhi davanti al verbo scancellare. Forse tornerà indietro nel tempo, rivivendo gli anni della scuola, quando, seduto sul banco, sentiva il maestro o il professore chiamare il compagno Bianchi pregandolo di “cancellare” l'esercizio scritto sulla lavagna. Erano guai seri, infatti, se qualcuno azzardava, sia pure velatamente a pronunciare la “s”.
Ebbene, questo è uno dei tanti ricordi da scancellare. Come pure è da scancellare dalla mente la pronuncia sdrucciola dell'aggettivo salubre. Anche in questo caso erano guai tremendi se qualcuno pronunciava il predetto aggettivo con l'accento sulla “u” (salùbre).
Bisognava dire “sàlubre” (pronuncia sdrucciola) e non “salùbre” (pronuncia piana).
La sola forma corretta, invece, è quella che i nostri insegnanti consideravano errata. L'aggettivo salubre non è altro che il latino “salùber” e deve conservare lo stesso accento che aveva quando è “nato”.
Qualche giorno fa, conversando con alcuni amici – e siamo in tema con i ricordi da scancellare – ricordammo il fatto che a scuola ci hanno insegnato (con la complicità di alcune grammatiche) delle inesattezze: ci hanno sempre detto, ad esempio, che il pronome sé seguito da stesso o medesimo non si accenta perché non c'è possibilità alcuna di confusione con la congiunzione. Bene. Di fronte a questa motivazione che riteniamo priva di logica (e fortunatamente non siamo i soli, persone molto più autorevoli ci confortano) potremmo sostenere il fatto che non c'è alcun bisogno di accentare la terza persona presente del verbo dare: dà; non c'è, infatti, possibilità di confusione con la preposizione, il senso ci dice se è verbo o no.
Ma torniamo al verbo scancellare in quanto occorre rilevare che, contrariamente a quanto riportano alcuni dizionari grammaticali, questa forma è correttissima perché la ‘s' dà alla parola un valore intensivo come in “sbattere”, “stirare”, “sgocciolare”, “scacciare”, “svuotare” eccetera. Alcuni ritengono, erroneamente, che la ‘s' dia, invece, solo un valore negativo: in altri termini “scancellare” sarebbe addirittura il contrario di “cancellare” e fanno l'esempio di “piovere” e “spiovere”.
Ma, a parte, queste disquisizioni su scancellare o cancellare, cosa c'entra il cancello da cui il verbo deriva? E' presto detto. Cancellare (o scancellare) viene dal latino e significa “inferriare”. Scancellare uno scritto significa, dunque, farvi sopra dei segni a mo' di cancello per renderlo illeggibile.
E concludiamo rispondendo ad alcuni amici che ci hanno contestato la “transitività” del verbo “appropriare”. Costoro sostengono, a spada tratta, il fatto che come non si può dire “mi impadronisco il libro” ma, correttamente, “del libro” altrettanto non si può dire “mi approprio il libro” ma “del libro”, per l'appunto.
No, cari Amici. Sono due cose diverse. Impadronirsi è un verbo intransitivo pronominale e in quanto tale deve necessariamente essere costruito con la preposizione ‘di': mi impadronisco ‘dei' tuoi averi.
Appropriarsi, invece, è transitivo medio (un verbo si dice ‘medio' quando ha il valore di riflessivo apparente: io fumo una sigaretta, oppure ‘mi' fumo una sigaretta) quindi deve essere “attaccato” al complemento oggetto, non deve essere seguito, cioè, da alcuna preposizione.
Appropriarsi significa, dunque, “appropriare a sé”, il ‘se' non deve trarci in inganno, non è complemento oggetto, bensì di termine: appropriarsi un bene, vale a dire “appropriare a sé” un bene.